Pirandello tra follia e mito

Il 1dicembre 2006 in occasione del 70° anniversario della morte di Luigi Pirandello (1936 – 2006) si è svolto a Ragusa, così come qualche giorno prima a Modica e a Catania, un convegno sul grande scrittore agrigentino: un ricordo più che dovuto, essendo questi un pilastro della letteratura italiana e mondiale.
In tale occasione si è intrapreso un viaggio verso la modernità attraverso i Quaderni di Serafino Gubbio operatore. Sono intervenuti il prof. Pasquale Guaragnella, il prof. Calogero Peri, il prof. Sauro Albisani e il prof. Giovanni Salonia, rendendo colori e sfumature diverse di quest’opera straordinaria.
Il primo aspetto, delineato dal prof. Guaragnella, è quello della modernità, una modernità che si rivela come il tempo della perdita di senso ad un punto tale che la società si identifica con la massa e la massa forma il singolo. Ed è così che Serafino diventa una “mano” che gira la manovella della macchina cinematografica; anzi è egli stesso fatto della sua macchina cinematografica.
Da questo si osserva un’alterazione dell’organismo di cui è affetto il singolo e di cui è infetta la massa. Ma chi è Serafino Gubbio?
Serafino Gubbio è un cinematografo che osserva la vita, anzi si guarda vivere come in un film; “Serafino guarda Serafino”.
Sembra quasi che sia lui a compiere l’azione, infatti è come se girando la manovella fosse lui a muovere gli attori, ma è solo un’illusione; e dice “ma l’anima a me non serve, mi serve la mano” e il vero cinema per Serafino non è altro che quello dell’anima.
Tuttavia i quaderni di Serafino Gubbio sono una vittoria sulla macchina.
E dunque dove sta la follia?
La follia sta proprio nell’identificazione con l’oggetto del proprio lavoro che diventa una vera ossessione e si vede come “le macchine nate come ancelle dell’uomo lo trasformino in realtà in un servitore dai mille padroni” (Albisani).
Ma Serafino recupererà il senso della sua vita e lo farà nel momento in cui accetta di sporcarsi le mani per uscire dalla sua sterilità. E per far questo deve liberarsi della soggettività assoluta dell’io, una soggettività che ha dato l’accesso all’alterità / follia, all’ “uno che frantumandosi è diventato nessuno” (Peri). Perciò deve compiere un viaggio dall’interiorità verso il fuori.
Ciononostante la sua non è un’ascesa ma l’assunzione di ruoli diversi segnati dal nome che lo conducono alla sua essenza, così passa da “angelo” (Serafino) a “bestia” (Gubbio) e da bestia ad “uomo”, perché tale è la sua natura, come ha spiegato il prof. Salonia.
In tutto questo è l’azione il motore, azione che non è, come si potrebbe credere, l’atto conclusivo del pensare ma, al contrario, è proprio ciò che “fa” l’uomo.
In conclusione i sette quaderni, che segnano delle fasi, conducono in una storia che si svolge dentro il nome che porta in sé il peso della contraddizione di ogni uomo e dell’eterna lotta tra bene e male (angelo e bestia).

Simona Barravecchia

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