I guai cominciarono quando il marito, Cosimo Quattrocchi intraprese rapporti daffari nel commercio della carne equina con un gruppo di catanesi che lo ridussero sul lastrico in poco tempo. Lui cercò di svincolarsi dai catanesi e i catanesi lo massacrarono assieme a otto suoi dipendenti.
Pietra Lo Verso raccontò nei minimi particolari le tribolazioni del marito ed indicò senza esitazione in Fisichella il presunto mandante della strage. Si sentiva a posto, serena per avere contribuito al progetto dei giudici di condannare i colpevoli, era fiduciosa che la violenza mafiosa fosse per quella volta inchiodata alle proprie gravissime
responsabilità.
La sentenza, però, fu assolutoria, Pietra Lo Verso capì che i giudici non lavevano creduta, che il suo coraggio non era servito a nulla, anzi, che adesso era davvero sola contro tutti. Il figlio quindicenne lasciò la scuola per gestire la macelleria dove non andava più nessuno a comprare la carne di cavallo. Si perché la violenza mafiosa trovava ancora nel quartiere una diffusa e vile solidarietà.
Assieme alla sorella Grazia ed alla nipote Antonina andarono dal sindaco Leoluca Orlando a chiedere soccorso e simbatterono nella particolarità della legislazione regionale siciliana che prevedeva pubbliche assunzioni per omicidi di mafia, ma che, per chi aveva testimoniato in un processo contro i presunti mandanti di una strage, non aveva previsto alcuna provvidenza. Fra laltro Pietra Lo Verso non era stata creduta e per i giudici la strage di Cortile Macello di quel maledetto 23 ottobre 1984 non aveva ancora colpevoli.
Non si può dire, però, che il coraggio di Pietra fu inutile perché rimase un esempio di ribellione, di rifiuto del silenzio e della paura che fu seguito da tante altre donne siciliane nei mesi e negli anni successivi. Come dire che le situazioni non cambiano mai da sole, ma cambiano perché ci sono persone che, prima sole e poi sempre più numerose e determinate, decidono di cambiarle.
Elio Camilleri
[Foto di mazpho.to]
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