Si sono riuniti a piazza Bellini questo pomeriggio: studenti universitari, rappresentanti dell’Udu, membri di Arcigay Palermo e semplici cittadini, uniti in un corteo che li ha portati fino alla Prefettura in via Cavour. «Quella di oggi è una manifestazione molto importante, perché raccoglie molti temi – spiega Luigi Carollo del coordinamento Palermo Pride – Era nata per protestare contro l’hotspot e la possibile messa in crisi delle politiche dell’accoglienza a Palermo, però purtroppo è legata anche ad altri fatti di attualità. Innanzitutto, uno che ci tocca da vicino ed è la vicenda del ragazzo marocchino a rischio di deportazione, che è una vera tragedia, perché in realtà meriterebbe delle cure e non il trattamento che sta ricevendo. E poi la vicenda di Gabriele Del Grande, di cui chiediamo a gran voce la liberazione. Una manifestazione in cui è almeno tre volte importante essere presenti».Un appuntamento, quindi, per dire no a tutti i cosiddetti luoghi di negazione dei diritti, hotspot in primis, struttura vista con diffidenza dai palermitani per i precedenti di Lampedusa, Pozzallo e Trapani, e convinti che prevenire sia meglio che curare: «Le modalità che si stanno immaginando destano preoccupazione – dice infatti Carmelo Mulè di Arci Palermo – Dal rendere gli assistenti sociali quasi dei gendarmi a questo status di continua modifica della forma di questi enti».
Secondo il giovane militante è palese come dai Cie sia derivato solo un netto peggioramento: «Già quelle erano gabbie a cielo aperto, non so cosa potranno essere queste nuove strutture – continua – Ci ritroviamo in una situazione di allarme sempre maggiore, a difendere libertà che in uno Stato civile dovrebbero essere garantite ma non è così, e questo è raccapricciante».Tra striscioni e megafoni fa capolino anche il volto dell’attivista Luca Casarini: «Sono qui per il documentarista detenuto in Turchia, per il quale oggi questa mobilitazione si sta svolgendo contemporaneamente in tutta Italia – dice subito, continuando – Come Del Grande circa il 50 per cento dei giornalisti detenuti del mondo è recluso in Turchia, il problema è che si tratta di un partner politico ed economico da un lato del nostro Paese e della Nato e dall’altro è utilizzato dalla Comunità Europea per bloccare i migranti siriani», motivi per cui attualmente sarebbe tollerato, secondo l’attivista, quello che appare sempre più prepotentemente un come «percorso di dittatura». A spingerlo a prendere parte al corteo, però, è anche il caso tutto palermitano della detenzione del ragazzo originario del Marocco, «cittadino palermitano per noi perché chi abita la città è cittadino di Palermo».
Anche per lui il terzo elemento contro cui oggi è importante far sentire la propria voce è quello della prossima apertura di un hotspot in grado accogliere fino a 150 migranti, fra adulti e minori non accompagnati appena sbarcati. Nemmeno Casarini riesce a credere alle rassicurazioni dell’amministrazione, né tanto meno al fatto che si tratterà di una struttura leggera utile solo per individuazione e smistamenti dei rifugiati. «Siamo in presenza di una politica governativa molto pericolosa anche per le città che vogliono essere città dell’accoglienza, perché sostanzialmente attraverso questo discorso del mettere centri per il rimpatrio e hotspot abbiamo a che fare solo con strutture detentive. Io credo che sia fondamentale rovesciare il paradigma – suggerisce – Se noi vogliamo sicurezza rispetto anche alle ondate di rifugiati causate dalle guerre, dalla fame e dal terrorismo, allora dobbiamo organizzare l’accoglienza in maniera diversa, in maniera vera». Per Casarini Palermo, città che in questi anni si è distinta in tema di accoglienza, starebbe rispondendo a un gioco di paura, rendendo la città una grande struttura detentiva. «La sicurezza è nei diritti – conclude – se non ci sono diritti non c’è sicurezza per nessuno».
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