«Palermo è la città che più conosco, quella che mi ha insegnato a pensare come penso, quella dove ho fatto l’amore per la prima volta, dove mi sono accadute cose che hanno creato un legame indissolubile». È in virtù proprio di quel legame che il palermitano Dario Levantino, classe 1986, non ha potuto fare a meno di partire proprio dalla sua Palermo per il romanzo d’esordio Di niente e di nessuno, edito da Fazi. E non da una Palermo qualunque, da una zona scelta a caso, no. Sceglie di tornare con la mente per le strade di Brancaccio, una delle periferie della città. È lì, per quei vicoletti, per quelle strade che si muove Rosario, il protagonista, un adolescente che lotta per sovvertire i morbosi equilibri di una famiglia infelice, la sua. «C’è tanto di me in lui, ma anche molto poco allo stesso tempo – racconta Dario -. Rosario pensa, immagina e sogna per come lo faccio io, non ho fatto alcuna fatica a metterlo giù, nero su bianco. Ma ci differenzia il fatto che qui si narra di una famiglia infelice e la mia è stata invece felicissima».
È un adolescente che lotta per scoprire l’adulto che vuole diventare. La madre, una donna remissiva, trascorre le sue giornate a occuparsi della casa e della famiglia, mentre il padre, cinico e bugiardo, ha un negozio di integratori per sportivi in cui gestisce lo smercio illecito di sostanze stupefacenti. Quando, per accontentare un desiderio della madre, il ragazzo decide di giocare nel ruolo di portiere con la Virtus Brancaccio, calcando così le orme del nonno materno morto prematuramente nel terremoto del Belice, il processo di identificazione che prelude all’età adulta ha inizio: tra pestaggi, amore e disincanto, Rosario troverà il coraggio di emanciparsi dalla violenza e dalla menzogna che hanno da sempre oppresso la sua vita.
Ma la storia, più che a partire da qualcuno, si snoda e si racconta a partire da qualcosa, un concetto antico, forse oggi del tutto perso, ma di cui restano distinguibili tracce soprattutto nella cultura del Sud: «Questo è un libro che nasce dalla mia passione per la mitologia: trovo che abbia capito tutte le dinamiche della psicologia che poi nell’800 sono state sviluppate. Ma c’è un concetto in particolare, oggi è sparito, da cui mi muovo, quello di pietas, un mix di due sentimenti – spiega Dario -. Da un lato il fortissimo amore per i genitori, dall’altro il senso del dovere verso di loro. Un mix che la cultura arcaica, quella più patriarcale siciliana, in nuce ha conservato».
Parte, quindi, da un obiettivo preciso: quello di inscenare questa pietas oggi, nel terzo millennio. Ed è dalla letteratura greca classica più alta che trae gli spunti che emotivamente lo attirano di più. Tra questi c’è, per esempio, una scena dell’Eneide che ha sempre affascinato Dario: quella in cui Enea, in fuga da Troia, si rende conto di avere lasciato indietro il padre Anchise. Torna da lui, lo ritrova, insiste per portarlo con sé, malgrado le sue resistenze e il timore di rallentarlo. Ma Enea non ascolta ragioni, lo carica sulle sue spalle e lo porta via con sé. «È una di quelle scene che ti rimane impressa, dalla narrativa fortissima, ha un impatto e una teatralità molto incisiva – commenta -. Per questo ho deciso di usarla». La stessa scena infatti è tradotta a Brancaccio e questa volta è Rosario quel figlio che carica sulle sue spalle la madre narcotizzata e semisvenuta.
Proprio Brancaccio, per Dario, è stata una scelta quasi obbligata: «Volevo inscenare questo sentimento, che appartiene alla nostra cultura di tremila anni fa, quindi mi serviva un luogo che fosse sospeso nel tempo e nello spazio, un luogo dove lo Stato non entra – dice -, e un posto che somiglia a tutto questo è proprio la periferia, che con i suoi aspetti di degrado e di ferocia conserva lo spirito animale più autentico, le persone somigliano allo stato animale del luogo. Mi serviva questo, la ferocia della periferia». Il risultato è una short novel di 159 pagine, nate in poco più di un anno, ma passate al vaglio di un lunghissimo e scrupoloso lavoro di editing. E Dario di storie ne ha già in serbo altre: «Ho scritto qualcos’altro, quello più realizzato ha per protagonista una donna ed è ambientato di nuovo a Palermo. È il mio modo di restare vicino alla mia città». Dario infatti insegna Lettere in un liceo di Monza, ma a spingerlo fuori dall’Isola prima del lavoro è stato in realtà l’amore. «Non condannerei mai chi, per le ragioni più diverse, va via. Ma chi dimentica sì».
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