«Il riconoscimento ha permesso di mettere in grande evidenza un patrimonio, anche per gli stessi palermitani, che convivevano con questi monumenti ma di cui non coglievano l’importanza. Basti pensare che ponte Ammiraglio fino a qualche anno fa era ridotto a una sorta di discarica». Non ha dubbi Aurelio Angelini, direttore della fondazione Unesco in Sicilia, quando gli si chiede un commento sul terzo anniversario del riconoscimento del percorso arabo-normanno.
Il più entusiasta di tutti è certamente il sindaco Orlando, che da tre anni non smette di incensarne le lodi. Ma anche i primi cittadini di Monreale e Cefalù a più riprese hanno manifestato apprezzamenti e lodi per questo percorso. Cominciato il 3 luglio del 2015 quando a Bonn il Comitato del Patrimonio Mondiale dell’Unesco dichiara l’itinerario arabo-normanno «patrimonio mondiale dell’umanità» inserendolo quindi di diritto nella World Heritage List.
Lo stile arabo-normanno è unico nel suo genere ed esclusivo di Palermo, Cefalù e Monreale; si caratterizza appunto per l’unione di due mondi opposti: quello arabo-musulmano e quello normanno-cattolico. I due secoli e mezzo di dominazione araba (dall’827 alla fine del XI secolo) resero la città una tra le più ricche e importanti dell’epoca: vengono eretti splendidi palazzi, moschee, minareti, giardini e fontane. Ai giorni nostri non sussiste purtroppo alcun monumento di rilievo appartenente all’epoca musulmana. Questi splendidi palazzi arabi spariscono, infatti, con l’arrivo dei Normanni, che se ne appropriano per riallestirli e modificarli, rendendo impossibile distinguerne l’antica funzione. I Normanni decidono di emulare il grande sfarzo degli arabi e riconoscono alle maestranze musulmane una notevole bravura: da questo connubio nasce, appunto, lo stile arabo-normanno. Ma cosa rimane a distanza di tre anni da quella data?
«Siamo riusciti a far sì che del percorso Unesco se ne parlasse a livello nazionale e internazionale – osserva Angelini – quello che per noi sembrava scontato, e cioè che ci trovavamo di fronte a un insieme di monumenti dall’evidente sincretismo culturale, per tante parti del mondo era ignoto. Sia per quanto riguarda l’aspetto storico e quello architettonico, sia per la serialità dei monumenti che ne attestano l’imponenza. Ma non solo: oggi possiamo dire che sono aumentati i visitatori della stessa città di Palermo, basti pensare alle notti bianche che hanno visto protagonisti gli stessi cittadini nell’ammirare il patrimonio con più di 20mila presenze in una notte, o le centinaia di scuole che fanno miriadi di attività nei siti Unesco. Ciò ha significato un aumento di consapevolezza e di conoscenza per coloro che ci vivono. Abbiamo poi certamente assistitito a un aumento dei visitatori nei singoli monumenti, e questo ce lo dicono i numeri dei biglietti (non affermazioni prive di verifiche): in tre anni superano il 30 per cento. Possiamo cominciare dunque a verificare gli effetti sia sui singoli che sul mercato economico e culturale».
E da tempo, poi, di discute di ampliare il percorso inserendo nuovi siti. C’è la fila di richieste, anche se finora nessuno ha raggiunto le condizioni ideali per la candidatura. La prima scrematura vede tra i favoriti: Castello a Mare, la Cuba, il Castello di Maredolce con il Parco della Favara, la chiesa di Santa Maria della Maddalena e la Magione. A che punto siamo? «L’iscrizione all’Unesco è un’operazione molto complessa – spiega il direttore -. Abbiamo previsto di lavorare all’ampliamento del sito arabo-normanno, ma i siti scelti devono superare alcune criticità ed è di questo che siamo parlando in queste settimane. La candidatura verrà avanzata quando tutti i requisiti verranno esauriti: dai servizi al contesto territoriale agli strumenti di tutela. Insomma, prima tutte le criticità devono essere superate. E queste richiedono una serie di interventi da parte dei Comuni e della Sovrintendenza. Noi stiamo coordinando per ottenere un risultato funzionale. Tempi certi non ne ce sono, di certo ci auguriamo che nell’arco del prossimo triennio qualcosa si possa ottenere. Il nostro d’altra parte è un ruolo politico-culturale, si tratta di mettere insieme e coordinare i soggetti che devono poi materialmente realizzare gli interventi».
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