Parlare di don Luigi Sturzo a centoquarant’anni dalla nascita – il fondatore del Ppi nasce a Caltagirone il 26 novembre 1871 ma nessuno si è ricordato di quest’anniversario – potrebbe apparire richiamo erudito se non lo si legasse ai tanti temi di scottante attualità che egli, da attento lettore dei fatti sociali, seppe profeticamente anticipare. L’elenco sarebbe lungo e riempirebbe tante pagine, di queste ne scegliamo una fra le tante, quella che si occupa della nostra Regione o, meglio ancora, del degrado dell’istituto autonomistico argomento, alla luce delle cronache, sempre all’ordine del giorno.
E’ noto l’impegno regionalista del prete siciliano, proprio la regione, che costituì il tema della sua relazione al terzo congresso del Partito popolare italiano, tenutosi a Venezia nel 1923, a suo dire, avrebbe dovuto costituire l’architrave di quella riforma dello Stato che dopo il processo unitario era stata a lungo sperata, spesso annunziata ma mai realmente affrontata. Un impegno che aveva trovato ostacoli e resistenza nel vecchio mondo liberale, affezionato alla soluzione centralistica prevalsa dopo il 1860, un impegno che l’avvento del fascismo aveva bruscamente archiviato ma che, proprio la caduta del regime e l’irrompere sulla scena nazionale,come protagoniste di un nuovo corso politico, delle forze democratiche, aveva con forza riproposto.
Infatti, la opzione per “uno Stato unitario e organicamente regionalista”, secondo la prospettiva elaborata dal sacerdote di Caltagirone, sarebbe potuta divenire, in fase costituente, come di fatto avvenne, realtà. Su questa strada, cioè il disegno di uno Stato delle autonomie, si avviarono per primi, i Siciliani che, spinti dall’emergenza separatista, tirarono fuori un progetto di Statuto che individuava per l’Isola una istituzione regionale con ampie competenze nelle materie che interessavano la sua vita economica e sociale ma anche – come insistentemente aveva auspicato Sturzo, fiero oppositore di ogni forma di separatismo – con quel marcato segno nazionale che si compendiava proprio nella formula sturziana della “regione nella nazione”. Proprio quell’autonomia avrebbe potuto offrire alla Sicilia l’opportunità di tracciare un progetto originale di sviluppo che potesse tenere conto delle aspettative della gente e che, nello stesso tempo, si confrontasse con le vocazioni dell’ isola: uno sviluppo, cioè, a misura del territorio.
Seppure lontano dalla sua Isola proprio negli anni dell’elaborazione dello Statuto – sarebbe infatti tornato dall’esilio americano solo nel settembre del 1946 – Sturzo non fece mancare il suo incoraggiamento a quanti si stavano impegnando per la nuova istituzione. Ma, da uomo con i piedi a terra, non pensò mai che sarebbe stata sufficiente l’autonomia per “compiere il prodigio di salvare l’avvenire della Sicilia”. E seppure, successivamente, nei vari ruoli istituzionali che il Nostro ebbe a ricoprire – non si può dimenticare il suo contributo come membro dell’Alta Corte – si battesse per la piena attuazione dello Statuto, nonostante non si stancasse mai di intervenire autorevolmente a difesa dell’Autonomia, fin dai primi passi della nuova istituzione, Sturzo non si sottrasse dal segnalare che il più significativo vincolo per la società siciliana, l’assenza cioè di un’adeguata classe dirigente, avrebbe potuto compromettere il significato ed il valore della nuova istituzione.
La Regione, piuttosto che avvicinare il cittadino al potere pubblico, come avrebbe desiderato, poteva, infatti, divenire un’ulteriore penosa barriera. In questo senso fu profeta, le sue preoccupazioni furono già dall’avvio dell’esperienza dell’istituto regionale confermate. E Sturzo non ebbe remore dalle colonne del Giornale d’Italia, fin dai primi anni Cinquanta del secolo scorso, a segnalare il pericolo che la Regione divenisse “focolaio d’infezione politica”, a causa del ruolo preminente ed autoreferenziale che i partiti sempre più vi assumevano e a stigmatizzare, proprio sul finire dei suoi anni, l’avvio di un processo di stravolgimento della ratio stessa del decentramento regionale a causa della trasformazione dell’apparato servente regionale in quella che, con giustificato sdegno, definiva “pantomima dell’amministrazione centrale”.
Denunce, purtroppo, cadute nel vuoto come “prediche inutili”. Infatti, quello che a Sturzo appariva allora un pericolo da denunciare, divenne, ben presto, realtà concreta così da costituire, oggi più di ieri, insieme al mancato raggiungimento degli sperati obiettivi di sviluppo dell’Isola, se non il principale, uno dei più significativi motivi della disaffezione dei Siciliani nei confronti della stessa Autonomia regionale.
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