Perché dire “no” al Ponte di Messina

di Francesco Busalacchi

Prendo lo spunto dalla posizione assunta da Claudio Fava, candidato della Sinistra alla guida della Sicilia, sulla costruzione o meno del Ponte sullo Stretto di Messina e sulla sua promessa di far uscire, se eletto Presidente, la Regione dal consiglio di amministrazione della società dello Stretto.

La questione non si può liquidare né con una adesione entusiastica e immotivata alla proposta, né tanto meno con sarcastiche battute. Si tratta di un argomento di importanza vitale e dirimere una volta per tutte la questione farebbe bene alla Sicilia e a al Paese intero, il cui coinvolgimento in quest’opera ciclopica non è senza importanza, sia per l’impegno finanziario senza precedenti, sia per il coinvolgimento di un mondo produttivo e industriale assai vasto, e quindi per la concentrazione di interessi di ogni genere, leciti e illeciti.

Per chiarezza, debbo dire che sono contrario alla costruzione dell’infrastruttura. I motivi sono tanti e proverò ad elencarli e spiegarli.

Non ho alcuna preoccupazione per l’inevitabile perdita di glamour che alla Sicilia deriverebbe dalla fine della sua insularità (anche se su questo tema sarebbe interessante sapere che ne pensano i siciliani), né per l’allocazione del ponte in un territorio altamente simico che ne potrebbe compromettere la stabilità (e su questo sarebbe, oltre che interessante, assai democratico conoscere il parere delle popolazioni di Messina e Reggio Calabria).

Ma questo è già merito e il dibattito può svilupparsi all’infinito. L‘analisi corretta delle questione deve essere quella, preliminare, tra costi e benefici. E siccome i costi si scaricano sull’intero Paese, i benefici vanno analizzati con riguardo all’intero Paese.

Ebbene la Sicilia dal punto di vista dei trasporti terrestri è un cul de sac. In Sicilia la terra finisce. Per chi la visita, quali che siano le ragioni, l’unica cosa da fare è tornare indietro. Vale la pena di creare un sistema gigantesco per così poco? Quali possono essere i benefici per i siciliani, e per i non residenti, italiani e non, che nei loro viaggi in e dalla Sicilia guadagnerebbero, a costi spaventosi per l’intera collettività, un certo tempo, che poi sarebbe perduto miseramente per colpa di un sistema stradale fermo agli anni Sessanta e di una rete ferroviaria d’anteguerra?

Per rendere utile, sempre in astratto, il ponte, occorrerebbero parecchi miliardi di euro da destinare all’efficientamento di strade e ferrovie nell’Isola. E il resto del Paese resterebbe a guardare? Credo di no.

Un po’ di sano realismo non guasterebbe. L’ottimo quasi sempre è nemico del buono. E a questo punto quale sarebbe il buono? Ricordarci che la Sicilia è un Isola e puntare sul mare. Lavorare perché vengano realizzati almeno due grandi piattaforme portuali per assicurare servizi indispensabili e di alta qualità alle flotte che attraversano il Mediterraneo; in quest’ottica, ma non solo, migliorare i sistemi interni viario e ferroviario, e puntare sul sistema aeroportuale.

Ogni paragone con l’utilità, la funzionalità e perfino la bellezza di altre infrastrutture similari, senza considerare le condizioni al contorno, è fuorviante. La funzione civilizzatrice o di modernizzazione delle infrastrutture è intimamente collegata alle realtà generali e settoriali, ai rispettivi effettivi interessi, alla corretta e onesta valutazione degli scopi economici e sociali di esse.

Le cattedrali nel deserto sono il frutto avvelenato dell’esatto contrario.

Redazione

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