Pd, le vittorie di Siracusa e Trapani in controtendenza «Con le primarie non avremmo sprecato il primo turno»

Di certo c’è soltanto la sconfitta. È l’unico aspetto su cui, ancora una volta, il Pd sembra essere d’accordo. Per il resto, il fuoco amico è incrociato e variegato. Le ultime Amministrative, ballottaggi inclusi, hanno visto il centrosinistra perdere Catania, ma tenere Siracusa e conquistare Trapani, tra i capoluoghi, pur con le dovute differenze. Perché la vittoria di Giacomo Tranchida a Trapani ha visto un sostegno trasversale, dalla sinistra fino ai centristi e a pezzi di Forza Italia, mentre a Siracusa al primo turno i candidati di centrosinistra sono stati tre, che hanno poi fatto quadrato attorno a Francesco Italia, portandolo alla massima poltrona cittadina.

Ma secondo Peppe Provenzano, dirigente nazionale dem, «bisogna riconoscere che si è trattato di vittorie nonostante il Pd, non per meriti del Pd. La realtà è che è fallita un’intera classe dirigente e io non ne faccio una questione generazionale, perché abbiamo avuto i giovani al governo, che hanno fatto peggio dei loro predecessori. Penso che invece – continua Provenzano – sia necessario cambiare la modalità di ricerca del consenso, perché è evidente che negli anni di Renzi si è sancito il divorzio tra la sinistra e il suo popolo». Un punto, anche questo, sul quale concordano in molti. È così per il segretario dimissionario del Pd siciliano, Fausto Raciti, secondo cui «il Pd dovrebbe imparare di nuovo il linguaggio delle primarie, soprattutto alle Amministrative e non aspettare il primo turno delle elezioni per capire qual è il candidato migliore per competere». Anche perché la prossima tappa elettorale sarà rappresentata dalle Europee, nel 2019. E lì il Pd dovrà puntare sul «tema delle disuguaglianze – aggiunge Provenzano – che è prioritario rispetto alla crescita, a cui abbiamo a lungo pensato in questi anni».

«Di qua alle Europee – sottolinea Raciti – il Pd può ritornare nel cuore delle persone, se è capace di coniugare un rigore vero sulle questioni che attengono al riconoscimento dei diritti e alla tutela stessa dello stato di diritto con la lotta all’oscurantismo caratteristico di queste destre, che oggi riguarda i migranti, ma domani riguarderà i rom e poi proseguirà con la giustizia e l’inasprimento delle pene. Bisogna avere – va vanti il parlamentare nazionale – la capacità di rispondere a una domanda che viene da quello che era il ceto medio italiano, che è scivolato verso il basso, con un meccanismo diverso in Europa rispetto alle politiche di austerità e rigore. Perché ogni decimale che abbiamo perso dietro il rigore europeo si è tradotto il consensi in favore di chi vuole disgregare l’Europa».

Ma se una parte del Pd ammette gli errori compiuti nell’era targata Renzi, Davide Faraone, luogotenente in Sicilia dell’ex premier, si scaglia contro l’attuale segretario nazionale, Stefano Martina. «Se Martina – ha detto Davide Faraone a La7- pensa di rifare il centrosinistra, magari riproponendo anche il nome Ulivo, sbaglia. Abbiamo bisogno di messaggi chiari e non avere paura della leadership. Dobbiamo tornare a parlare al Paese come ha fatto Renzi quando è arrivato al 41 per cento». 

A rispondergli indirettamente è invece il deputato regionale Antonello Cracolici, che pur non nominando Faraone, parla dei «molti miei compagni di partito che vanno in televisione» e sottolinea come «dobbiamo smetterla di sentirci vedovi del governo che c’è stato. Gli italiani ci hanno giudicato, è inutile che diciamo che siamo stati bravi, perché evidentemente lo pensiamo soltanto noi. Spero che prima o poi ci rendiamo conto che dobbiamo cambiare linguaggio, contenuti e forse anche leader. La ricetta rimane quella di un centrosinistra largo, inclusivo, aggregante, tanto più che bisogna prepararsi alla crisi del Movimento 5 Stelle, perché il vero dato politico di queste Amministrative è che quello stesso Movimento, che ha vinto in tutti i collegi uninominali in Sicilia alle politiche, perde anche Ragusa, dove ha amministrato per cinque anni».

Insomma, rinnovamento sì, ma senza farne una questione generazionale: «Le classi dirigenti – aggiunge Cracolici – non si comprano in salumeria, non sono un fatto nuovo soltanto perché qualcuno li lava con Perlana. Bisogna invece avere la capacità di offrire una visione che sia distante e distinta da questa destra. E bisogna soprattutto avere la consapevolezza che è la precarietà a spingere i cittadini verso la paura, che a sua volta alimenta la destra forcaiola nel costruire il consenso. Bisogna ripartire dal lavoro e uscire da questa condizione di precarietà: un’ora di lavoro precario deve costare il doppio di quanto costa un’ora di lavoro a tempo indeterminato. Soltanto così – conclude il deputato regionale – si può disincentivare sul serio questo sistema».

Miriam Di Peri

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