Il loro appello, adesso, è alla ricostruzione. In una sede di via Bentivegna riempita dai simpatizzanti, ma in evidente stato d’abbandono. Le macerie del Partito democratico sono tutte lì, tra quelle stanze chiuse in cui ormai non lavora più nessuno. Faraone e i suoi promettono di rimettere in piedi il partito, in una sala riunioni gremita di gente, oltre la quale restano soltanto muri sporchi e stanze vuote. È una crisi profonda, quella che ha attraversato il Pd in questi lunghi anni, il cui esito appariva evidente dalla direzione regionale dello scorso 25 ottobre, quando tra i temi affrontati per stabilire il percorso congressuale c’era anche quello delle quote non versate da parte degli eletti, che avevano mandato in bancarotta la sede di via Bentivegna.
In quell’occasione il dimissionario tesoriere Lillo Speziale aveva avvisato sui pericoli di un caso che rischiava di diventare un «precedente politico gravissimo». Già, perché allora la ragione alla base del mancato versamento delle quote aveva radici nello scontento per il lavoro svolto dall’ex segretario Fausto Raciti. Una rivendicazione politica che, insomma, passava per il portafogli del partito. Per questo oggi ci si chiede, alla luce della profondissima spaccatura tra renziani e zingarettiani, in quanti, dalle parti dei sostenitori di Teresa Piccione, siano disposti a contribuire, anche economicamente, alla ripartenza del Pd nell’Isola.
Più di uno tra gli zingarettiani ha fatto il paragone con l’incoronazione di Napoleone. Ma è lo stesso neo segretario del partito ad ammettere che avrebbe «preferito che la campagna per le primarie finisse con il voto nei gazebo, cosi non è stato e mi dispiace perché il Pd è nato con le primarie. Abbiamo bisogno di ripartire, abbiamo preso una batosta il 4 marzo e qualcuno forse non se ne è accorto – ha aggiunto Faraone – È vero, il Pd adesso è morto e abbiamo bisogno di dare segnali di rottura e la mia candidatura è stata controcorrente. La politica deve tornare ad occuparsi del territorio, dei luoghi dove siamo nati. Dobbiamo ricostruire le condizioni affinché il Pd torni a vincere, ci sono le energie per farlo e lo dobbiamo fare ripartendo dalla base e senza polemiche».
Ai giornalisti che hanno chiesto se si sente un segretario «illegittimo», cosi come lo ha definito la Piccione, Faraone ha replicato: «Il tema che riguarda la legittimità e il regolamento compete agli organismi incaricati e credo che sia un modo corretto di interpretare la democrazia al nostro interno. Non compete a me dire se sono legittimato – ha sottolineato – dal punto di vista statutario ci sono gli organismi che io rispetto. Ho rifiutato la logica dei caminetti e dei salotti. Ci avevano proposto un accordo fittizio, nel chiuso di una stanza. Non abbiamo chiesto a nessuno degli esponenti nazionali di supportare la mia campagna nelle primarie. Abbiamo visto in Sicilia Andrea Orlando e Dario Franceschini. Qua non vedrete nessun big nazionale».
Ed eccolo lì, l’appello di Faraone: «Dobbiamo tenere unita la comunità del Pd ed anzi aprirci per allargare la platea di quanti non si sentono rappresentati da questo governo di leghisti e grillini. È nostra intenzione piuttosto valorizzare le donne e non capiterà di avere un organismo con una donna in meno rispetto a un uomo». A proposito dell’ipotesi di accordi coi 5 Stelle, Faraone taglia corto: «Chiariamoci – tuona – Io non starò mai nelle stanze frequentate dai vari Di Maio o Toninelli. Sono alternativo, tanto a loro, quanto a Salvini».
Il vice di Faraone, il leader dei Partigiani Dem, Antonio Rubino, replica ad Antonello Cracolici che questa mattina alle domande di un cronista rispondeva che il problema del Partito democratico stia nei politicanti di professione, che oltre il partito non hanno un lavoro. «Non so a chi si riferisca – replica Rubino -, visto che il Pd ha licenziato tutti i suoi dipendenti. In ogni caso non rispondo alle cadute di stile di Cracolici». A chi invece accusa i Partigiani di incoerenza, Rubino risponde che il suo gruppo «si è sempre prefisso l’obiettivo di scardinare un sistema. E basta vedere l’elenco delle facce che si sono schierate dall’altra parte, per capire che abbiamo fatto la scelta giusta».
Certo, gli zingarettiani hanno fatto accuse circostanziate, a proposito di statuto, regole e storture. «Quello che è successo dentro la commissione del congresso – sottolinea ancora Rubino – non è nulla di diverso rispetto a quello che è sempre stato, anche in commissione nazionale. Ci sono dei passaggi, i cambi di date, di ore… ci sono dinamiche che in un’organizzazione complessa come quelle del nostro partito sono all’ordine del giorno. Oggi loro si attaccano a un pretesto, ma non c’è nulla di irregolare o di irrispettoso nei confronti di nessuno. Che loro utilizzino gli iscritti per fare polemica, questo sì, che è indecoroso. Se chiedete ai deputati quanti circoli ci sono in Sicilia, non lo sanno. E se chiedete loro dove si trovano, non lo sanno. Ma di che stanno parlando? Non sanno neanche cos’è l’organizzazione del Pd in Sicilia».
Insomma, il livello della polemica è ancora alto. E in molti si chiedono se non si tratti ormai di una frattura insanabile. «Quando è stato eletto Lupo segretario – ricorda invece Rubino – una parte del partito abbandonò l’aula in segno di protesta. Dal giorno dopo quella stessa parte si mise a disposizione per ricostruire. Mi auguro che la parte che oggi fa polemica si metta a disposizione, perché c’è bisogno. Da parte nostra, ci sarà la massima disponibilità a ricostruire il Pd. In Sicilia. E senza caminetti romani».
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