Pd e Megafono: dopo le elezioni tutto come prima. Anzi, peggio di prima

Finita l’euforia della vittoria, i Partiti politici fanno i conti. Quelli veri. L’analisi del voto del primo turno delle elezioni comunali siciliane regala qualche certezza e molti dubbi. La certezza è che il centrodestra, benché riunificato, è in calo. Il dubbio è che nel centrosinistra dell’Isola, con riferimento a Pd e Megafono, i problemi siano ancora tutti da risolvere. 

Alle elezioni nazionali, con il traino di Berlusconi, il centrodestra siciliano vince. Vince, in primo luogo, perché riesce a portare alle urne quegli elettori che domenica scorsa hanno preferito andare al mare piuttosto che a votare. Forse perché delusi – fenomeno che riguarda tutta l’Italia – da un Cavaliere che, andato al Governo, non ha mantenuto, fino ad oggi, nessuna delle tante promesse fatte a famiglie e imprese.

Alle famiglie, il Cavaliere, aveva promesso l’abolizione, secca, dell’Imu sulla prima casa: che non c’è. Alle imprese aveva promesso una riduzione fiscale: invece il Governo Letta ha già disposto l’aumento dell’Iva. Una beffa.

La deduzione è semplice: Berlusconi non è all’opposizione, ma al Governo: dunque ha preso in giro gl’italiani. Che lo hanno capito e lo hanno punito.

CATANIA: IL ‘SOLITO’ PD CATANESE – Tornando alla Sicilia, nella sconfitta del centrodestra ci sono anche motivazioni locali. I dubbi maggiori sono, ancora una volta, su Catania. A caldo, mentre era in corso lo spoglio delle schede, si è diffusa la voce che ‘pezzi’ del centrodestra avrebbero fatto votare per Enzo Bianco. Il dubbio è che una parte del Pdl catanese – la solita parte – abbia fatto quello che ha fatto nell’ottobre dello scorso anno, in occasione delle elezioni regionali, quando invece di far votare per Nello Musumeci ha fatto votare per Rosario Crocetta.

Ricordiamo che, pur senza Totò Cuffaro, pur con con l’Udc passata nel centrosinistra, nonostante la candidatura di Gianfranco Miccichè (candidatura nata per indebolire Musumeci), nonostante il cerchiobottismo di Raffaele Lombardo, Musumeci, se non avesse perso i voti di un ‘pezzo’ del Pdl catanese, forse avrebbe vinto lo stesso.

Alle recenti elezioni politiche i voti del solito ‘pezzo’ del Pdl sono tornati nel centrodestra. Ma a Catania, domenica scorsa, è probabile che i voti del solito’ pezzo’ del Pdl siono ritornati nel centrosinistra di Enzo Bianco. Per garantire la presenza, nella Giunta di Rosario Crocetta, di qualche assessore gradito a una certa parte politica? Chissà.

PD E MEGAFONO: ‘I DUELLANTI’ – Prima del voto avevamo scritto che Pd siciliano e Megafono andavano al voto all’insegna dell’ambiguità. E così è stato, perché l’ambiguità, tra queste due formazioni politiche, permane. Maggiorata da un nervosismo dei dirigenti del Pd per ora celato.

In questa fase i vertici del Partito democratico siciliano (soprattutto in vista dei ballottaggi), debbono recitare la parte dei ‘vincitori’. In realtà, numeri alla mano, il Pd dell’Isola continua la sua inesorabile marcia del gambero: invece di andare avanti, va indietro.

Siamo i primi – nella cosiddetta analisi del voto – a ribadire che il voto delle elezioni politiche nazionali e quello delle regionali non va paragonato a quello delle elezioni comunali, perché in queste ultime giocano, spesso in modo preponderante, elementi locali (si pensi alle liste civiche). Ma c’è un dato che deve fare riflettere.

Il Pd siciliano si attesta intorno al 10-13 per cento (media con un’alta deviazione standard, ovvero con un’alta dispersione dei dati intorno alla stessa media). Il Pd – lo ricordiamo – nasce dalla fusione di due Partiti, i Ds e la Margherita, che, insieme, in Sicilia, sfioravano il 25 per cento. La fusione tra Ds e Margherita non è avvenuta 50 anni fa, ma solo qualche anno fa.

Se ne deve dedurre, aritmetica elettorale alla mano, che il Pd siciliano, in pochi anni, ha perso il 50 per cento circa dei propri elettori. E continua a perdere.

Di più. Il centrosinistra siciliano, nel suo complesso, ha perso voti un tempo strutturati. A parziale vantaggio di uno schieramento politico – il Megafono, il Movimento del presidente Crocetta – che in questa fase non è ancora strutturato (e non è affatto detto che riesca a strutturarsi).

Il Megafono guadagna voti, anche se non in modo uniforme. Ma quelli del Megafono non sono voti stabili: sono i voti di quella parte dell’elettorato siciliano sempre pronto a salire sul carro del vincitore.

Contrariamente a quello che hanno scritto alcuni giornali, a nostro modesto avviso, rispetto al potere che oggi gestisce in Sicilia, il Megafono ha preso pochi voti.

Ci permettiamo di ricordare che, alle regionali del 2008, Raffaele Lombardo, con le sue tre liste, prese quasi il 25 per cento dei voti. Oggi Lombardo è scomparso, ma cinque anni fa – questi sono fatti – aveva il 25 per cento dei voti dei siciliani.

Crocetta e il suo Megafono si sono fermati all’8-10 per cento (anche in questo caso con una media ad alta deviazione standard, cioè con un alto indice di dispersione dei dati intorno alla media). E questo nonostante il controllo della presidenza della Regione, di quattro o cinque assessorati, degli enti e delle società regionali e, soprattutto, con una gestione spregiudicata della cosa pubblica (incredibile il ricorso al miraggio di 50 milioni di euro di Cantieri scuola annunciato a due giorni dal voto: soldi da far gestire ai Comuni – questa la promessa – proprio quando si vota per le comunali…).

Rispetto a Lombardo, Crocetta ha anche qualcosa che l’ex presidente della Regione non aveva: il vessillo di una presunta antimafia. Crocetta e il suo alleato, il senatore Giuseppe Lumia, sono due riconosciuti e riconoscibili ‘Professionisti dell’antimafia’: non a caso si permettono totale libertà di azione nelle promesse clientelari tardo-democristiane-dorotee (i già citati cantieri scuola), nella gestione delle energie alternative, nella sanità e via continuando.

Nonostante questo grande potere (con le ‘coperture’ che Lombardo non aveva), il Megafono non solo non sfonda, ma

Rosario Crocetta, foto di Gabriele Bonafede

prende voti puramente transeunti, legati in parte ai mercenari della politica (il riferimento è ai deputati regionali che, per ora, gli sono vicino).

In questo scenario, permane, tra Pd siciliano e Megafono, un’ambiguità di fondo dovuta ai due volti del Movimento del presidente della Regione. Crocetta e Lumia si affannano a gettare acqua sul fuoco, dicendo che il Megafono è l’alleato naturale del Pd, al quale dovrà federarsi. Dopo i ballottaggi si chiarirà se questa federazione prenderà corpo.

A nostro modesto avviso, le strade di queste due formazioni politiche sono destinate a non incontrarsi, se non come alleati. Per evitare di fare la fine di Lombardo e del suo Movimento, il Megafono dovrà provare a strutturarsi. Ma la strutturazione del Megafono si tradurrebbe, inevitabilmente, in una presa di distanza dal Pd e in un aumento della competizione verso lo stesso Partito democratico.

E’ evidente che il Pd siciliano non avrà interesse alla strutturazione del Megafono. Anzi, spingerà per l’esatto contrario. Sarà questo il ruolo del Senatore Lumia?

In questa fase, Pd siciliano e Megafono sono come la metafora dei porcospini di Schopenhauer: vorrebbero avvicinarsi l’un l’altro, ma appena si avvicinano gli aculei dell’uno pungono l’altro… e viceversa.  

I POTERI FORTI CONTRO GRILLO – Un altro dato è l’indebolimento del Movimento 5 Stelle. Che è il frutto di una linea nazionale dettata dai poteri forti. Per rendersene conto, basta guardare i Tg. Non c’è giorno in cui non si parli di scissioni di questo Movimento. Personaggi sconosciuti – parliamo degli eletti alla camera e al Senato del Movimento 5 Stelle – diventano star solo se annunciano di dissentire da Beppe Grillo. Uno spettacolo penoso.

IL RITORNO DELLA MAFIA – L’attacco a Grillo è, in realtà, la voglia della vecchia politica – della cosiddetta ‘Casta’ – di resistere. Assistiamo, oggi, a uno scambio tra poteri forti e vecchia politica: in cambio di nuove tasse che stanno per abbattersi sugli italiani (la mancata abolizione dell’Imu sulla prima casa e l’aumento dell’Iva sono solo l’inizio di una nuova stangata), i poteri forti si impegnano a mantenere in piedi tutti i privilegi della vecchia e logora politica: il finanziamento pubblico ai Partiti (che, contrariamente a quanto detto da Letta, viene triplicato, come ha dimostrato, carte alla mano – ovvero leggendo il disegno di legge dello stesso Governo Letta – il nostro Alessandro Mauceri), il mantenimento delle scandalose diarie parlamentari (che dovrebbero essere incrementate in base a un disegno di legge del Pd) e, soprattutto, l’abbassamento della guardia nella lotta alla mafia: cosa, questa, che interessa sia i poteri forti, sia la vecchia politica (minori risorse a magistratura e forze dell’ordine e attacchi ai magistrati: emblematico l’affondo contro il Procuratore della Repubblica di Palermo, Francesco Messineo, per non parlare degli attacchi ad Antonio Ingroia, le minacce al magistrato Nino Di Matteo e i ripetuti tentativi di sminuire il processo per la trattativa tra Stato e mafia che si è aperto a Palermo e che, non a caso, vede sulla stessa barca poteri forti e vecchia politica, protagonisti delle stragi del 1992), per citare solo alcune parti di questo accordo.

I poteri forti, in questa fase, largheggiano con la ‘Casta’. L’attuale classe politica ormai logora, con molta probabilità, manterrà anche il Porcellum, ovvero la legge elettorale che consente alle segreteria romane di mandare a Montecitorio e a Palazzo Madama i propri ‘camerieri’. In cambio, però, vuole mano liberE per continuare a massacrare il popolo italiano che, infatti, non va più a votare.

Poteri forti e vecchia politica hanno un obiettivo comune: l’eliminazione del Movimento 5 Stelle. Da qui l’attacco concentrico a Beppe Grillo e ai suoi che dura ormai da tre mesi.

Anche in questo caso, la nostra chiave di lettura diverge da quella dei giornali e delle Tv che danno il Movimento 5 Stelle in netto declino. La verità è che, nonostante i grandi sforzi messi in campo da poteri forti e vecchia politica, il Movimento di Grillo resiste. Qualunque altro schieramento politico sarebbe già stato sepolto.

Il Movimento 5 Stelle resiste perché la carta stampata conta sempre di meno, perché le Tv sono ancora forti ma meno credibili e perché l’informazione passa, ormai, dalla rete, che rimane una delle poche cose libere dell’Italia (non a caso la politica sta provando a mettere limitazioni: perché non la controlla).

Poteri forti e vecchia politica giocano una partita perdente. Se sono riusciti a tenere a freno l’antieuropeismo di Berlusconi, intrappolato in mille processi, sanno benissimo che appena ricominceranno a tassare gl’italiani, gli stessi italiani si accorgeranno della truffa e torneranno a votare per Grillo. Da qui la fretta, se non di eliminare, di indebolire il Movimento 5 Stelle per farlo apparire perdente.

Ma è uno sforzo inutile perché Bce, Germania, gruppo di Bilderberg e Fiscal Compact lavorano per il Movimento di Grillo, destinato, nel breve e lungo periodo, a diventare il riferimento di chi, in Italia, ha le scatole rotte dalla tasse, dall’euro e da una fallimentare Unione Europea.

Di quello che, a nostro avviso, i grillini non hanno fatto in Sicilia parliamo in altra parte del giornale.

L’UDC? HA PERSO L’ANIMA POPOLARE – A chiusura segnaliamo solo la stasi dell’Udc siciliana che, contrariamente a quello che racconta il suo leader, Giampiero D’Alia, conferma il trend decrescente. Questo Partito prende qualche voto in più a Messina: poca cosa, considerato che lo stesso D’Alia – Ministro della Repubblica in carica – ha il proprio bacino elettorale nella Città dello Stretto e dintorni. Lo stesso discorso vale per il presidente dell’Ars, Giovanni Ardizzone.

L’Udc siciliana di Cuffaro, che ‘viaggiava’ tra il 15 e 16 per cento, è solo un pallido ricordo. D’Alia non ha il carisma di Cuffaro. Piuttosto ‘appappone’, D’Alia tiene tutto per sé e per i suoi accoliti, non dando spazio a nessuno. Provando, anzi, a distruggere, alla maniera dei vecchi Ras della Dc, chi prova a crescere o anche a pensare con la propria testa. E’ il caso di Lino Leanza e Marco Forzese, che sono solo le manifestazioni visibili di un fenomeno che riguarda più la base che i vertici di questo Partito.

L’Udc siciliana non ha perso solo i voti, Leanza e Forzese: ha perso l’anima popolare che era la forza della grande Dc. In questo ha giocato molto l’errore grossolano di Casini, che ha schierato il suo Partito con l’uomo del gruppo di Bilderberg in Italia. Ma anche D’Alia vi ha messo del suo, facendo scappare più della metà dei militanti del suo Partito. Il resto sono chiacchiere.

 

Redazione

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