Paternò, migranti al freddo tra rifiuti e baracche «Non ci affittano le case, viviamo nelle gallerie»

«Servono urgentemente, per stranieri che dormono in luoghi di fortuna: coperte, stufe elettriche, scarpe uomo, giubbotti, maglioni, pantaloni, intimo uomo». È l’appello lanciato dal presidente dell’Apas (associazione di volontariato e di protezione civile) Salvo Pappalardo e indirizzato a cittadini e ad altre associazioni che operano sul territorio di Paternò. Un messaggio che gira tramite WhatsApp, per chiedere solidarietà concreta nei confronti dei migranti arrivati nel Paternese per la campagna agrumicola. Da oltre 36 ore nel territorio etneo il freddo è pungente e la neve si abbassa di quota: poco dopo le quattro del mattino, a Paternò, si è registrata una temperatura di due gradi. E fuori, in baracche di fortuna, ci sono decine di cittadini stranieri che attendono di trovare impieghi nei campi. 

Due vere e proprie baraccopoli si trovano lungo la strada provinciale 138, in contrada Ciappe bianche. Una strada che per oltre un chilometro e mezzo è piena di spazzatura: eternit, sanitari divelti, materiale di risulta, carcasse di elettrodomestici. Lì, in un terreno agricolo abbandonato, hanno trovato alloggio tra le settanta e le ottanta persone. Un centinaio sono invece i migranti che vivono all’interno di una galleria dismessa della ferrovia. E oggi – vista la giornata di pioggia, vento e freddo – la maggior parte di loro non sarebbe riuscita a trovare lavoro. I cittadini stranieri, dopo l’iniziale diffidenza, accettano di parlare con MeridioNews. «Per favore, non mi fotografare», dice in un italiano stentato un ragazzo di 28 anni, proveniente dal Marocco: nel suo Paese era un elettricista diplomato. «Sono qui da venti giorni – continua – Lavoro in nero, nelle campagne, per 50/70 centesimi a cassetta. Ho lavorato fino a ieri, oggi piove e non posso. Ancora, però, non mi hanno pagato. E non sono stati pagati neanche i miei connazionali».

La maggior parte dei giovani agrumicoltori sono di nazionalità marocchina. «Abbiamo freddo. Ci hanno dato qualcosa per vestirci solo i signori che si trovano più avanti», continua il 28enne, indicando la sede dell’Apas, che ha sede in via Giovanni Verga. Ad alcune centinaia di metri dalla baraccopoli. Il primo racconto rompe il ghiaccio, poi arrivano quelli degli altri. Escono dalle baracche alla spicciolata, accettano di parlare. «Ho 25 anni e sono un contabile – dice un giovane marocchino in perfetto francese – Sono qui per lavorare. Nel mio Paese non ce n’è, ma anche qui la situazione e terribile. Molti vanno via dall’Italia, io voglio spostarmi in Francia». Intanto, però, vive a Paternò e, per fortuna, il razzismo lo vede solo da lontano: «Qui non hanno paura di noi, non ci vedono come una minaccia».

«Qui siamo sfruttati come bestie e non ci pagano», interviene un altro lavoratore marocchino, sulla quarantina. È arrabbiato, parla in italiano fluentemente, eppure un appartamento non glielo ha voluto affittare nessuno, a Paternò. «Possiamo pagare, se ci pagano. Ma i proprietari ci hanno detto di no, vogliono solo i rumeni, nonostante le tante case vuote. Non è giusto». E non lo è ancora di più in questi giorni che un tetto sulla testa potrebbe salvare vite, in giorni di grande freddo. «L’allerta meteo dovrebbe durare fino a giovedì prossimo. È prevista neve anche in pianura – spiega Pappalardo dell’Apas – Finora siamo riusciti ad aiutare circa 35 ragazzi, ma serve di più. A differenza degli altri anni, stavolta dobbiamo registrare un aumento dei giovani. Hanno dai 18 ai 25 anni, sono diplomati, cercano fortuna». E trovano solo una vecchia galleria dei treni.

Salvatore Caruso

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