Paternò, decapitato il vertice del clan Assinnata Il boss descritto dai gregari: «Turi è il top dei top»

Con l’operazione The end scattata all’alba di ieri – che ha portato all’arresto di 14 persone accusate di essere affiliate al clan Assinnata, legato ai Santapaola – la Direzione distrettuale antimafia di Catania è certa di aver inferto un duro colpo alla famiglia di Paternò. Soprattutto al capo indiscusso, quel Turi Assinnata, 43 anni, attualmente detenuto nel carcere di Asti, in Piemonte. Lorenzo Provenzano, comandante della compagnia carabinieri paternese, spiega perché l’operazione è stata denominata La fine. «Con le accuse che gli sono state mosse, Turi Assinnata resterà in carcere per molto tempo». Le forze dell’ordine ritengono stavolta di aver spezzato le gambe agli Assinnata, e soprattutto al capo. 

Per i gregari, Turi Assinnata «è il top dei top». In una intercettazione telefonica Giuseppe Parenti, tra i 14 coinvolti nell’operazione, elogia le caratteristiche da leader del boss: «Iddu quannu u talii suli nda facci… pigghi e ti pisci incoddu… minchia… iddu è il top dei top». E aggiunge: «Cumana iddu… iu sugnu sulu u suddatu. A Turi Assinnata no può imbrugghiari mancu Diu…». Una considerazione massima e assoluta per Turi Assinnata e per la sua famiglia diventata palese lo scorso 2 dicembre, quando in occasione delle festività patronali di Santa Barbara i portatori di due cerei degli Ortolani e dei Dipendenti comunali, accompagnati dalla musica del Padrinosi sono inchinati davanti alla casa del boss e al figlio Mimmo Assinnata. Un omaggio reverenziale che non è passato inosservato  ai carabinieri, il cui rapporto indirizzato al questore di Catania Marcello Cardona ha spinto quest’ultimo a estromettere dal seguito della festa le due varette. 

Giuseppe Parenti è considerata una figura anomala del clan, capace di cambiare casacca nel giro di pochi anni dal clan Assinnata a quello dei MorabitoRapisarda, per poi ritornare da figliol prodigo alla famiglia d’origine. Abbastanza coinvolto da dire chiaramente e con orgoglio di essere «mafiusu. Iu macari ca m’attaccunu… iu mi fazzu a galera mutu mutu». Giuseppe Parenti è attualmente detenuto nel carcere di Agrigento, dove è stato rinchiuso  dopo l’arresto nell’operazione I Vicerè di due settimane fa, che ha colpito anche il clan Morabito–Rapisarda, legato al Laudani. «C’è stato un passaggio di casacca di Parenti, come confermato dalle intercettazioni e dal collaboratore di giustizia – specifica Lorenzo Provenzano -. I soggetti arrestati rispondono dei reati di associazione mafiosa, estorsione e associazione finalizzata al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti, commessi dal 2012 al settembre 2013».

Il provvedimento scaturisce da una complessa attività di indagine avviata dalla compagnia carabinieri di Paternò in seguito al rinvenimento, nel marzo del 2012, di una tanica di benzina con accendino legato da nastro adesivo al cantiere di via Vulcano, dove si trova la scuola Giovanni XXIII. Un segnale intimidatorio rivolto a una ditta della provincia di Palermo, il cui titolare ha sporto denuncia. L’autore è stato identificato dai carabinieri in Giuseppe Fioretto, anche lui finito oggi in manette. Qualche settimana dopo, il 5 aprile 2012, ha preso fuoco il telone che copriva il ponteggio allestito all’esterno della scuola: le fiamme sono divampate velocemente al punto tale che parte dell’impalcatura è caduta sulla tensostruttura del plesso scolastico, rimasto danneggiato. In quella circostanza i giornalisti intervenuti sul posto sono stati allontanati e dopo qualche ora si è parlato di fatto accidentale: qualcuno avrebbe lanciato una cicca di sigaretta rimasta incastrata nel telone. Una spiegazione che non ha convinto la dirigente scolastica dell’epoca, la quale ha esposto forti dubbi sull’esatta origine del rogo. 

Tra gli arrestati anche Benedetto Beato, accusato nel giugno del 2006 di essere uno dei componenti del commando che uccise la coppia Faro-Salvia e in cui rimase ferito gravemente il figlio di quasi dieci anni di quest’ultimo. Beato è stato assolto in Cassazione assieme al resto dei presunti componenti del commando. Le istituzioni cittadine plaudono all’operazione della Dda. «Esprimo apprezzamento e solidarietà alle forze dell’ordine e alla magistratura – afferma la presidente del consiglio Laura Bottino – per il lavoro svolto a tutela della legalità e della lotta alla mafia; lavoro certamente reso possibile anche grazie a quegli imprenditori coraggiosi che non rimangono in silenzio, dimostrando che denunciare serve a qualcosa, e che la parte sana delle nostre comunità non deve e non può lasciare soli». 

Salvatore Caruso

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