Un parto dolce, accompagnato da un canto che imita l’andamento delle contrazioni, che aiuta la dilatazione e quindi avvicina in modo decisivo il momento del parto. Lo ha sperimentato in prima persona la cantante Serena Ganci, che ha iniziato a dieci anni la sua carriera studiando al conservatorio e ha dedicato l’intera vita alla musica. Dopo la sua esperienza ha fatto delle ricerche che correlassero il parto al canto e da un anno ha deciso di insegnarlo alle altre donne.
«Quando mi sono ritrovata in sala parto – racconta Serena – da manuale l’ostetrica mi disse di respirare ma mi sono accorta che non mi dava sollievo. Cantando sentivo che respiravo bene, quindi in modo assolutamente istintivo ho iniziato a formulare questa melodia, una melodia libera, non era canzone, non mi sono messa a intonare Battisti». Piano piano la cantante si è accorta che il suo canto in realtà seguiva l’andamento della contrazione, «l’accompagnavo con la voce, nella sua durata e nella sua intensità. Questo tipo di processo mi ha provocato una dilatazione molto rapida. Mi trovavo come in uno stato di trance». Serena racconta che circa venti minuti dal momento in cui ha iniziato a produrre questa melodia «anche se in mezzo c’è stata l’epidurale che avrebbe potuto bloccare o ritardare questo processo, mi sono resa conto nel giro di poco che la bambina era arrivata a destinazione. La sensazione fisica era come se lei ogni volta che portavo a termine una frase musicale scendesse seguendo una sorta di percorso a spirale. All’ultima nota ho sentito che era giunto il momento e ho chiamato l’ostetrica». Questa pratica, ripercorre Serena, ha agevolato la nascita della bambina: «L’ostetrica mi ha guardata abbastanza scettica ma poi ha visto che era tutto vero. Quindi poi c’è stata l’espulsione della bambina, che è stata più semplice non essendo trascorse dodici ore di travaglio, che ti affaticano molto. Questa cosa mi ha sconvolta. Alcune mie amiche che avevano partorito mi parlavano di esperienze completamente diverse».
Trascorso un po’ di tempo da quando era tornata a casa dalla clinica, la cantante ha iniziato le sue ricerche: «Ho scoperto che questa pratica viene fatta in India e si chiama canto carnatico, accompagnato dal sitar, uno strumento musicale. Le donne si abituano a come lavorano a gola e la voce durante la gravidanza. Per loro è proprio una disciplina come lo yoga». Nel canto carnatico vero e proprio ci sono delle melodie predefinite da poter riprodurre. «Anche se la mia modalità è stata istintiva, da cantante, sentendo alcune di queste mi sono accorta che somigliano un sacco a quella del mio parto – spiega la cantante -. Di questa disciplina parla anche l’ostetrico ginecologo francese Frederick Leboyer , ideatore della teoria sul parto dolce».
Una volta scoperta la correlazione tra parto e canto, «tramite una amica che faceva il corso pre-parto alla Candela, dove parlarono del mio come uno dei parti memorabili nella storia della clinica, mi sono messa in contatto con la dottoressa Valeria Augello e ho iniziato un corso pilota per capire anche se io ero in grado di spiegarlo ad altre donne che non avevano per forza un’abitudine ad usare la voce». Siccome questo meccanismo ha a che fare non solo con una dimensione emotiva ma è anche fisico, la cantante si è accorta che «quando devo produrre certi suoni devo spingere sul perineo sugli sfinteri bassi, quindi tutto mi quadrava. Quando il corpo si sta preparando al parto con il canto carnatico quella zona lavora di più, e si può così velocizzare il travaglio. Concentrandosi diventa una specie di allenamento. Ho quindi provato a insegnare questo meccanismo».
I primi corsi sono stati di sperimentazione vera e propria «ed è stato stupendo, nel senso che mi sono trovata a lavorare con persone che non avevano niente a che fare con l’arte. Finora per me la musica era stata sempre una forma d’arte. Sono una musicista e non mi sono occupata d’altro nella mia vita. Adesso invece vedo la musica anche come un fatto umano, che ha a che fare con il corpo e non più solamente con l’arte. Vedere ad esempio una signora che a casa forse ascolta Gigi D’Alessio e che riesce a partorire cantando l’ho trovata una forma di democrazia straordinaria. Non devi essere per forza intonato, dipende da quanto impegno ci metti e da quanto ti viene naturale. Spesso si pensa che la musica è una cosa per pochi eletti e invece può arrivare a tutti. Per me è stata un’opportunità, quella di poter avere un approccio diverso al mio mestiere. La prima volta che mi è stato inviato un video di una signora dalla sala parto che partoriva cantando mi sono commossa».
In clinica molte donne adesso praticano questa disciplina, quelle che hanno avuto l’opportunità di fare il corso. «È chiaro che l’ideale sarebbe avere tanto tempo da dedicare – conclude Serena – la prima volta c’è sempre una certa timidezza ma se ci prendi gusto allora può diventare una cosa semplice. L’ideale sarebbe che fosse un po’ più ufficiale e si potesse praticare meglio per impadronirsi della tecnica o sarebbe anche interessante formare delle ostetriche sul canto carnatico, ancora poco conosciuto».
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