Partinico, dopo episodi razzisti comunità si riscopre «Qui non è il Far west, ma un luogo dove conoscerci»

«Qualcuno ha pensato che qui ci fosse il Far west e che fossimo tutti razzisti…Bè, non è esattamente così». Non è una sentimentale difesa a priori di chi a Partinico ci vive e ci lavora, questa. Il 37enne Cesare Casarino, infatti, ha più di una buona ragione per poter dimostrare il contrario. A cominciare dai motivi che lo hanno spinto, insieme ad altri concittadini, a istituire Partinico Solidale, che descrivere come un’associazione di volontariato sarebbe forse riduttivo e poco lusinghiero. «È un’assemblea aperta a tutti, nata dalla necessità di incontrarci fra noi e confrontarci, all’indomani dell’ennesima aggressione a sfondo razzista». È il 4 agosto infatti quando i partinicesi si riuniscono per la prima volta, a fronte di episodi di violenza che si davano il cambio già da maggio fino a tutta l’estate. Un’assemblea in tutti i sensi, a cui accorrono centinaia di cittadini. «Numeri enormi per un posto come Partinico», osserva il volontario.

«Abbiamo quindi pensato di creare un momento di incontro pubblico per confrontarci. Sono venuti i ragazzi delle comunità e i cittadini, c’è stato l’interesse di tutti». Anche perché già dal primo momento la direzione da imprimere a questi incontri, divenuti periodici, è stata chiara: non nascono per affrontare un solo tema specifico, come il razzismo nel caso del primo momento di confronto sorto ad agosto. Ma ruotano attorno ad argomenti diversi e se ce n’è uno che primeggia rispetto ad altri è forse quello di provare a ricreare uno spazio comune per tutti. Specie in quello che ad oggi appare come «un paesino come molti altri spopolato, con le piazze vuote da tempo e luoghi di aggregazione inesistenti». Che è poi la scommessa su cui Cesare Casarino e i partinicesi hanno deciso di puntare. «Una sorta di festa per dire che la solidarietà crea comunità, non è casuale infatti il nome che abbiamo scelto – spiega il volontariato -. Non solo antirazzismo quindi, abbiamo puntato subito sulla solidarietà, provando a riattivare percorsi rivolti a tutti quelli che vogliono popolare questi luoghi. Questo è stato fondamentale per ragionare e iniziare a interloquire con la cittadinanza, svincolandoci da ogni tipo di retorica».

Le attività messe in campo dai mesi a seguire infatti non hanno riguardato solo i ragazzi stranieri che vivono a Partinico, ma tutti. E il motore sono state le idee nate dal confronto sviluppato durante le riunioni. Ma per realizzarle occorreva innanzitutto una sede. «L’abbiamo ribattezzata Arena solidale, ma per tutti qui fino a pochi mesi fa è stata solo l’ex Arena Lo Baido. Un luogo alle spalle della piazza, che a poco a poco stiamo ripopolando, riqualificandolo con le nostre forze – racconta ancora -. Il giardino era in stato di abbandono, abbiamo iniziato a ripulirne una parte cercando di stimolare anche l’amministrazione, dando l’input a fare la sua parte». La villetta è stata inaugurata lo scorso ottobre ed è da allora teatro di continui scambi, che toccano i temi più svariati: dal riciclaggio e il riuso creativo al cibo biologico e a chilometro zero. E non è un caso neppure che tutti i momenti di convivialità organizzati fino ad ora si siano poi conclusi con delle cene, anche quelle rigorosamente aperte a tutti, in cui ognuno lascia un contributo volontario: «Si lascia quel che si può, in base alle proprie tasche, qualcuno ha dato anche un centesimo, ma è stato apprezzato lo stesso. Il messaggio non è che sto cercando di aiutare te singolo, ma che ci aiutiamo insieme – continua -. Con i soldi raccolti fino ad oggi abbiamo acquistato alcune giostre, montate nel giardino della villetta in cui ci ritroviamo».

Partinico Solidale insomma non sembra affatto un luogo in cui scontrarsi o polemizzare sulla base di ciò che più divide. Ma un’occasione per ritrovare il senso di comunità. E non è un caso, forse, che a incontrarsi siano ogni volta pezzi di mondi apparentemente lontani, da quello cattolico a quello laico, dall’associazionismo ai semplici cittadini. «Siamo partiti da un’assemblea in piazza, non da un corteo, che avrebbe rischiato di creare uno spartiacque: della serie, da un lato i partinicesi buoni e dall’altro i razzisti. Volevamo evitare il distinguo, il punto qui è trovare e costruire momenti per incontrarsi, eliminando la paura del diverso, che nasce proprio perché questi momenti per conoscersi finora sono mancati». A dispetto invece dei momenti di violenza, come le aggressioni a danno di ragazzi stranieri, o di puro vandalismo, come nel caso dei pullmini comunali per il trasporto degli studenti disabili dati alle fiamme o al rogo dell’albero di Natale che proprio i volontari di Partinico Solidale avevano allestito col riciclo creativo in uno dei quartieri della città. «Lo avevamo chiamato cartonero, prendendo in prestito il termine argentino che allude ai raccoglitori di cartone per strada che poi lo rivendono – racconta ancora Cesare Casarino -. Un gioco di parole per un gesto dedicato agli ultimi della terra. Poi l’incendio: piuttosto che usare quest’episodio per indignarci lo abbiamo usato per rilanciare quello che ci muove, la solidarietà. La retorica salviniana la mandiamo al mittente».

Un metodo che al momento sembra incassare consensi, suscitando un’interessata partecipazione da parte del territorio. «Aver puntato sulla solidarietà a 360 gradi, intesa come incontro e non come assistenzialismo, sta pagando». All’attivo, al momento, Partinico Solidale conta tre gruppi di lavoro: uno sull’educazione informale (o educativa di strada), che si sta concentrando sull’organizzazione del primo carnevale solidale, che sfrutterà la rete delle associazioni palermitane già impegnate in quartieri come il Cep, Borgo Vecchio e lo Zen. C’è anche il gruppo della Casa del mutuo soccorso, uno sportello socio-legale che grazie all’ausilio di due avvocatesse, che si prestano gratuitamente, mette a disposizione di chiunque una consulenza legale, «l’ennesimo strumento per condividere bisogni ed esigenze, e dedicata a un partinicese che vogliamo ricordare e prendere a esempio, Fifiddu Robino, biciclettaio anarchico». E poi c’è anche il coro popolare, «un altro momento, attraverso la musica e le canzoni, per conoscerci e incontraci, dalla tradizione popolare siciliana a tutti i paesi del mondo da cui provengono i ragazzi che oggi vivono qui». Il punto non è, insomma, creare una comunità nuova, ma risvegliare quella di origine, tirando fuori dalle occasioni di incontro e conoscenza tutto il buono che c’è in ogni cittadino. «Non è così complicato, a volte per fare uscire fuori qualcosa di bello basta il pretesto dato da un pallone e una partita di calcetto o da una cantata tutti insieme. E chissà che magari nel tempo – spera il volontario – la nostra idea non ispiri anche tutti gli altri».

Silvia Buffa

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