La costituzione dell’organo previsto dall’art. 2, c.5 della l. 240 del 2010 ha suscitato polemiche a livello nazionale ed è stata preceduta, accompagnata e seguita da fantasiose e raffinate esercitazioni sui concetti di ‘rappresentanza’, ‘partecipazione’, ecc. Si parla di passi giusti, di passi sbagliati, di elettività (diretta o solo propositiva), di consultazioni. Non voglio
entrare nel merito. Tuttavia, sento l’esigenza di contribuire alla riflessione generale, ripercorrendo la disciplina legale e cogliendone la specificità rispetto ad altre esperienze di riordino statutario che molti di noi hanno vissuto e delle quali portiamo ancora il ricordo.
L’art.2 della l.240 del 2010 disciplina l’autonomia statutaria delle università, fissando i principi essenziali e le procedure da seguire per l’attuazione della riforma. L’art. 2, c. 5, stabilisce che in prima applicazione lo “statuto della riforma” è “predisposto da apposito organo”. I componenti sono designati nel numero di sei dal Senato Accademico e nel numero di sei dal Consiglio d’Amministrazione. L’organo è presieduto dal Rettore e ne fanno parte anche due “rappresentanti degli studenti”.
Tranne il Rettore e i due rappresentanti degli studenti, tutti gli altri membri devono essere esterni agli Organi che li designano. È chiaro, quindi, che gli studenti devono essere scelti fra “rappresentanti”, probabilmente, fra quelli che siedono in senato accademico o in Consiglio.
Lo statuto è “adottato con delibera del Senato accademico, previo parere favorevole del Consiglio d’amministrazione”. L’art. 16, c.2 della l. 9 maggio 1989, n. 168, per definire le procedure di approvazione dello “statuto dell’autonomia”, in un contesto nel quale il Senato era ancora costituito dai soli Presidi, istituiva espressamente un organo complesso (il “Senato accademico integrato”), rappresentativo dei direttori di dipartimento, delle varie categorie di docenti, delle varie aree scientifiche e del personale tecnico e amministrativo, stabilendone l’elezione, secondo un complesso regolamento (previsto dalla stessa normativa, art. 16, c.3).
La differenza fra le due norme è chiara ed evidente. Altrettanto chiare sono le ragioni che l’hanno prodotta: nel 1989 si doveva dare voce, per la prima volta, alla complessità interna delle università, per produrre una normativa statutaria profondamente innovativa sul piano della rappresentanza; oggi si deve procedere alla riforma degli ordinamenti interni, alla fine di un lungo periodo di sperimentazione (1980-2010), disponendo già di organi di governo democraticamente eletti e pienamente rappresentativi dell’intero ateneo (Senato e Consiglio di amministrazione).
L’uso del verbo “predisporre” per individuare le competenze dell’organo previsto dall’art. 2, c. 5-1°, della l. 240/2010 deve essere messo a confronto con l’uso del verbo “adottare”, che individua, all’art. 2, c. 5-3°, la competenza statuente del Senato accademico. Il compito dell’organo previsto dalla legge risulta, dunque, chiaramente tecnico, permanendo la competenza decisionale al Senato accademico, unico organico rappresentativo. Di conseguenza, qualunque proposta di costituire un organo ‘politicamente’ legittimato, in quanto espressione di istanze, proposte, esperimenti elettorali, referendum, ipotesi di composizione di vario tipo, eccede la manifesta volontà del legislatore e rischia di provocare effetti dilatori non coerenti con i precisi termini temporali previsti dalla norma.
L’organo previsto dalla legge è un organo di ‘competenti’, con funzioni istruttorie (diversamente dal Senato accademico integrato del 1989) e limiti precisi rispetto al potere deliberativo del Senato accademico. Attribuire ruolo politico ad organismi che non ne hanno o, peggio, rivendicare, nei fatti, tale ruolo può produrre gravi effetti sulla stessa libertà e autonomia degli organi ai quali la legge attribuisce il compito di rappresentare l’Ateneo.
Concludo queste brevi e disincantate considerazioni ricordando a tutti che il processo di riforma dello statuto è appena iniziato, che oltre alla modifica dello statuto si dovrà porre mano all’adozione di una serie di atti regolamentari complessi e decisivi per la storia scientifica e professionale di chi è già incardinato nell’università e di chi studia per potere pervenire al risultato; per la funzionalità delle strutture dipartimentali; per l’organizzazione della didattica e della ricerca. Immagino che ciascuna struttura dovrà contribuire per la propria competenza e per la competenza degli uomini che ne fanno parte. Mi auguro che le risorse saranno utilizzate per conseguire i risultati.
Sottolineo la necessità di rispettare i ruoli e il progetto normativo, di chiamare competenti a svolgere ruoli di predisposizione tecnica e i componenti degli organi di Ateneo a svolgere le loro attività valutative e deliberative. Immagino che qualunque ipotesi di commistione dei ruoli possa provocare solo effetti diversi da quelli prefigurati del legislatore.
*professore nell’Università di Catania
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