Parte dalla Sicilia la petizione per il concorso docenti bis «Cinque richieste al ministro per rispettare i nostri diritti»

Dal banco di prova all’ultimo banco. È questo il titolo della petizione partita da una docente precaria siciliana e diretta al ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi. Dopo le criticità del tanto atteso concorsone per l’immissione di ruolo, adesso è la volta del concorso straordinario-bis. «Un altro pezzo di calvario», commenta a MeridioNews Annalisa Cassarino. Insegnante precaria di materie umanistiche originaria di Canicattini Bagni (nel Siracusano) e quest’anno in servizio a Milano. È lei, insieme alla collega romana Lavinia Capponi, ad avere esposto in cinque punti le richieste di modifiche alla bozza per la prova riservata ai docenti con almeno 36 mesi di servizio. «Alla base di tutto c’è il fatto che noi insegnanti precari vediamo di continuo i nostri diritti calpestati e siamo stanchi di un’istituzione che ci maltratta», lamentano. 

Dalle critiche alle proposte costruttive il passo è stato breve. E, così, le cinque istanze sono state messe nero su bianco e pubblicate sulla piattaforma online Change.org in una petizione (qui il link): una bibliografia dettagliata del programma di studio su cui verterà la prova orale; l’estrazione della traccia almeno 24 ore prima; la valorizzazione del servizio prestato nelle scuole; il conseguimento dell’abilitazione per chi supera il concorso e un corso di formazione gratuito per i docenti precari. «Nonostante la scuola italiana vada ormai verso la direzione dello sviluppo delle competenze e delle abilità – analizza Cassarino che, da anni, insegna in scuole medie e superiori tra Roma e Milano – noi ci troviamo ancora a dovere affrontare una prova nozionistica. E senza nemmeno sapere esattamente su cosa verremo valutati perché, a fronte di programmi sterminati – continua – non è chiaro il livello di approfondimento della disciplina richiesto». In storia si va dal big bang all’attualità, in letteratura dalle prime forme scritte agli autori contemporanei, e poi geografia, grammatica, informatica, lingua straniera. «Una quantità enorme di nozioni ma per cui non esiste nemmeno una bibliografia chiara e dettagliata», sottolineano le docenti precarie.

E ci sono pure loro tra le categorie che, ai tempi della pandemia e della Didattica a distanza (Dad), sono stati definiti «eroi» anche dallo stesso ministro Bianchi. Adesso, però, a giudicare dai metodi di valutazione qualcosa sembra non tornare. «Per fare punteggio – spiega Capponi – si conteggiano diversi aspetti ma c’è una sproporzione scandalosa tra il valore attribuito ai titoli ottenuti, ai corsi frequentati o alle abilitazioni conseguite e invece quello riservato agli anni di insegnamento già prestati nelle scuole». Per fare un esempio: un dottorato di ricerca viene valutato 12,5 punti; un certificato di lingua straniera di livello C2 vale 5 punti; mentre a un anno di servizio prestato (tra l’altro solo nella classe di concorso per cui si concorre) soltanto 1,25 punti. «Una valutazione – lamentano le insegnanti firmatarie della petizione che è già stata sottoscritta e condivisa da centinaia di altre persone – che ci sembra non riconosca il valore del nostro lavoro che, nelle classi, non si limita di certo solo alla didattica ma coinvolge tutti gli aspetti anche relazionali e pedagogici nel rapporto con gli studenti». 

Ed è proprio a partire dall’esperienza sul campo che nasce la richiesta dell’estrazione della traccia per il concorso almeno 24 ore prima. «In questo modo riusciremmo a organizzare i contenuti da esporre durante la prova – chiarisce Cassarino – e a fare i collegamenti in relazione alle possibili strategie di insegnamento da mettere in atto per andare oltre i contenuti nozionistici. Questo che dovrebbe essere l’elemento più importante da valutare, invece, viene assolutamente tralasciato». In un concorso che, anche una volta superato con successo da chi ha già prestato servizio per tre anni, non avrebbe comunque valore abilitante. «Tra le nostre richieste al ministero c’è pure questa – aggiunge Capponi – anche perché l’ultimo concorso abilitante a cui molti di noi si erano iscritti anni fa, pagando anche 15 euro, alla fine non si è più svolto e nessuno ne parla nemmeno più». Non è certo una questione di quei soldi persi – anche se per precari e spesso fuorisede anche quelli contano – ma di quelli ancora da sborsare. Perché i partecipanti che non dovessero superare la prova – per cui, tra l’altro, devono anche prendere un giorno libero dal servizio interrompendo il contratto e senza che venga loro retribuito – sarebbero costretti a frequentare un corso corso di formazione a pagamento

«Io sono favorevole anche alla formazione continua per chi fa il nostro mestiere – puntualizza Cassarino – ma pretendo che, come avviene per altre categorie di lavoratori pubblici (per esempio i medici, ndr), le spese non siano a carico nostro che stiamo comunque svolgendo un servizio». Inoltre, se alla fine del percorso di formazione l’insegnante non risulta idoneo, in pratica si ritrova con un nulla di fatto e a dovere ricominciare da capo. «Oltre il danno la beffa – lamentano – perché saremmo con un concorso superato, un corso pagato ma senza niente in mano. La mortificazione a cui siamo sottoposti è già pesante perché quello attuale è un sistema che fa acqua da tutte le parti – concludono le docenti precarie – che ha le fondamenta marce e che troppo spesso tende a ledere la nostra dignità umana e professionale». 

Marta Silvestre

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