A dare l’input, come racconta la prefetta di Catania Maria Guia Federico, è stato l’attentato al presidente del parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci. Un momento di non ritorno in seguito al quale i vertici delle istituzioni politiche, insieme alle forze dell’ordine, hanno deciso di dare una risposta alle infiltrazioni mafiose nelle attività agricole e pastorali dei territori che ricadono all’interno dell’ente. È questa la genesi del protocollo di legalità firmato questa mattina in prefettura dai rappresentanti del parco, dalla Regione Siciliana, e dai sindaci di Bronte, Maniace e Randazzo.
«Il vile gesto che ha subito il presidente Antoci – spiega la rappresentante del governo – ha portato lo Stato a fare un passo avanti e iniziare un percorso di controllo su tutte le vendite, gli affitti e le concessioni che vengono effettuate al di sotto della soglia prevista dalla normativa». Un sistema di monitoraggio del territorio già sperimentato a Messina, dove qualche giorno fa è stato firmato un documento analogo per «assicurare la rimozione di tutti gli ostacoli che si frappongono al libero esercizio dell’attività imprenditoriale e della concorrenza», si legge nel testo. Come? Prima di tutto attraverso un sistema di comunicazione tra organismi incentrato sulla trasparenza degli atti amministrativi. Attività che il prefetto coordinerà avvalendosi dell’ispettorato diripartimentale delle foreste di Catania e del corpo di vigilanza del parco.
Ma il vero cambiamento è rappresentato dall’applicazione della disciplina che previene i tentativi di infiltrazioni della criminalità organizzata, con l’utilizzo del sistema delle certificazioni antimafia, anche per le procedure di concessione di beni ai privati. I soggetti concessionari dovranno assumere formalmente l’obbligo di non concedere a terzi l’utilizzo o la titolarità del terreno concesso, oltre a dover denunciare all’autorità giudiziaria ogni richiesta illecita di denaro, protezione o estorsione nei propri confronti o dei familiari.
«Siamo sulla strada giusta – commenta Antoci – Il giro di denaro è molto grosso, circa cinque miliardi di euro, e siamo sicuri che le cosche abbiano approfittato dei fondi europei per i loro loschi affari». Il presidente ha spiegato che grazie al sistema delle certificazioni, già sperimentato in altre province, si è scardinato il sistema della partecipazione ai bandi, «vinti sempre dalle stesse persone». «Gli agricoltori onesti avevano paura nel partecipare – continua Antoci – perché i terreni venivano assegnati a soggetti che, controllando, magari erano già stati condannati per il reato di associazione mafiosa». «Con questo sistema invece – conclude – abbiamo già imposto molte interdittive, riuscendo a tutelare gli onesti».
Per garantire la cooperazione tra enti, in conclusione, l’ultimo articolo del protocollo prevede l’istitituzione di un tavolo tecnico, composto da tutti i soggetti firmatari, che si riunirà almeno una volta l’anno «per l’esame congiunto della situazione e l’individuazione di strategie preventive più adeguate».
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