«Parco sì, ma non così». Nello Musumeci riunisce i venti sindaci dei Comuni ricadenti nell’area protetta alla vigilia di Natale. L’attualità, fatta di inchieste e continue polemiche sulla governance del vulcano Etna, chiama infatti il governo regionale alla reazione immediata. E il presidente, protagonista in veste di guida della provincia di Catania durante le emergenze etnee del 2001-2002, non si sottrae. C’è un processo riformatore da mettere finalmente in atto, dopo quasi un anno di commissariamento del Parco. Ma anche perché tutti i nodi di un sistema istituzionale segnato da conflitti di competenze e frammentazione sono ormai venuti al pettine. «Non è possibile gestire il vulcano come fosse una chiesa di campagna, fra campanilismi e operatori che pensano al loro orticello», incalza il governatore. Davanti a lui ci sono i venti amministratori locali, ma anche la Protezione civile regionale, gli assessori a Territorio, Turismo e Infrastrutture e altri dirigenti. Una folla di attori – e mancano altri enti con responsabilità sul vulcano l’ex Provincia, la prefettura, il collegio delle guide, le forze dell’ordine, l’ex Azienda foreste demaniali – che finora non è riuscita a tradursi in sinergia virtuosa.
Ecco perché Nello Musumeci aveva già lanciato l’idea di «un’authority» che possa fungere da regia unica nel governo del territorio. «Immagino un unico soggetto che agisca in forza delle delega di tutti gli altri enti – ha specificato il presidente – affiancato da due impiegati prestati dalla Regione». C’è da rimediare ai tanti errori del passato: «È mancata non l’intraprendenza del privato ma il controllo dell’ente pubblico, che avrebbe dovuto pianificare, controllare, e dire qualche no». Non è il solo passaggio che Musumeci dedica agli attori di matrice non pubblica: «I privati talvolta sono andati oltre le loro competenze con la complicità di soggetti istituzionali», sottolinea, facendo andare subito il pensiero allo scandalo che di recente ha travolto Francesco Russo Morosoli, il patron della funivia dell’Etna. Negli ultimi anni, ad esempio, è stato proprio l’impasse sulla liberalizzazione dell’accesso alle zone sommitali, fino all’anno scorso gestito sia a nord che a sud dalle società di quel gruppo imprenditoriale, a essere contestato dall’Antitrust per la sua natura anticoncorrenziale. «Ma le inchieste – chiosa Musumeci – non ci riguardano, adesso dobbiamo ricominciare daccapo e servono forse nuove regole». Una revisione delle legge istitutiva del Parco viene tirata in ballo, così come la riperimetrazione dei confini e una rivisitazione della burocrazia dell’ente, falcidiata dai pensionamenti.
Il presidente sferza così i sindaci che, a loro volta, portano l’attenzione sul primo dei tasti dolenti: la futura presidenza dell’ente Parco. A febbraio Musumeci detronizzò la crocettiana Marisa Mazzaglia e, da allora, si è erano susseguiti gli appelli dei Comuni affinché il nuovo presidente non venisse «calato dall’alto». «Non è di poltrone che vorrei parlare», risponde il governatore dopo gli interventi dei sindaci di Adrano, Pedara, Piedimonte, Maletto, Santa Maria di Licodia e Linguaglossa. Per poi cercare il contropiede: «Entro il 15 gennaio fatemi avere una terna di nomi condivisa all’unanimità, fra questi il governo sceglierà il futuro presidente». Proposta accolta positivamente da tutti e che ha pure un precedente, risalente all’era di Totò Cuffaro: l’allora assessore regionale Bartolo Pellegrino chiese ai sindaci tre nomi tra cui sarebbe poi stato scelto Cettino Bellia, allora primo cittadino di Castiglione.
In sala c’è anche uno dei candidati da mesi in pole, l’ex sindaco di Belpasso Carlo Caputo. La sua vicinanza al presidente, da membro di Diventerà bellissima, lo ha portato a essere fra gli invitati-uditori della riunione, ma c’è anche chi sussurra che la sua inconferibilità, dovuta al fresco mandato da amministratore, potrebbe anche essere già venuta meno. La futura terna potrebbe poi mettere in gioco figure finora fuori dal totonomine, magari più tecniche, oppure condurre a vecchie conoscenze della politica locale. Musumeci, intanto, sul caso Etna sembra proprio volerci mettere la faccia: «Abbiamo una Ferrari chiusa nel garage e questo non ce lo possiamo più permettere».
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