Palle gol e supremazia, ma non basta Il Palermo è ancora in convalescenza

Cosa dire a proposito dello 0-0 casalingo del Palermo contro il Foggia? Dipende dal punto di vista con cui si guarda questo risultato. Questioni di prospettive, come nel caso dell’immagine relativa al bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto chiamata spesso in causa nel momento in cui c’è un pareggio sotto la lente di ingrandimento. Se in relazione al match di ieri sera disputato in un Barbera semideserto complici le cattive condizioni meteo i parametri di riferimento per l’analisi della partita sono la supremazia territoriale e il numero di palle gol create allora possiamo dire di aver visto un Palermo in forma, che ha tenuto bene il campo e che avrebbe meritato di vincere in virtù del volume di gioco sviluppato durante la gara. Ai rosanero, che hanno impensierito diverse volte il portiere avversario, è mancato solo il gol e non ci sarebbe niente da dire se avessero portato a casa i tre punti.

Se però scaviamo dentro la realtà della sfida con i pugliesi e analizziamo attentamente i contenuti forniti dalla prova della compagine di Stellone, ci accorgiamo che non è tutto oro ciò che luccica e che, sul fronte rosanero, la positività dei giudizi riconducibile ad un alto indice di pericolosità va comunque ridimensionata. Giusto riconoscere che il Palermo ha creato più di un grattacapo alla difesa rossonera ma, osservando il film della partita, sostenere che la squadra è ancora convalescente dopo le due sconfitte di fila contro Salernitana e Cremonese non sembra una considerazione priva di fondamento. Non c’è la controprova ma, al netto degli episodi che nella maggior parte dei casi determinano l’esito di un incontro, il Palermo brillante e autoritario ammirato tante volte nel girone di andata la gara di ieri l’avrebbe vinta.

Molto probabilmente avrebbe trovato il guizzo risolutivo e creato i presupposti per spostare l’inerzia dalla propria parte. Cosa che ieri, al di là delle numerose occasioni (clamorosa quella fallita da Falletti all’inizio della partita), non ha fatto. La squadra ha dato tutto ciò che poteva, non si è risparmiata e ha fatto il possibile per ripresentarsi con puntualità all’appuntamento con la vittoria (Puscas, titolare in un attacco privo di Nestorovski e Moreo, ha avuto diverse chance ma i suoi tentativi non hanno sortito gli effetti sperati) ma, nonostante l’impegno profuso, ha dato ugualmente la sensazione di essere ancora in affanno. Di essere involuta rispetto al recente periodo impreziosito da tredici risultati utili consecutivi e di non avere trovato la medicina che serve per certificare l’avvenuta guarigione.

Capitano, però, questi momenti. È successo anche alle dirette concorrenti ed è anche questo il motivo per cui non è il caso di fare drammi. Basta solo registrare i fatti e ammettere che la formazione rosanero, superata in vetta alla classifica dal Brescia, allo stato attuale ha qualche problema. Non ha nel corso del match la continuità che aveva prima (e ieri, oltretutto, ha finito la gara con il serbatoio della benzina vuoto) e non le riescono le cose che poche settimane fa le venivano con naturalezza. Ieri, inoltre, ha giocato spesso con frenesia, indice di poca serenità e di uno stato di agitazione all’interno di un gruppo che non scende in campo con la mente libera. E non potrebbe essere altrimenti – anche se questo aspetto non deve costituire un alibi – tenendo conto del contesto (tra caos societario e freddezza dei tifosi) in cui è chiamata ad operare.

A posteriori, meno male che l’avversario era il Foggia, squadra che si è difesa con ordine ma che non ha spinto sull’acceleratore nei momenti clou e non ha saputo sfruttare le incertezze dei padroni di casa sprecando ad esempio con Galano un paio di clamorose occasioni da rete. Una squadra più forte e più cinica di quella guidata da Padalino (in campo con più di un volto nuovo arrivato durante il mercato invernale e disegnata con un 4-3-2-1 speculare al modulo dei rosa) avrebbe dato alla partita un indirizzo diverso e accentuato ulteriormente le insicurezze di un Palermo ancora alla ricerca di se stesso in questo 2019.

Antonio La Rosa

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