Palestra di sgombero

Sgomberata il 23 febbraio e rioccupata dopo pochi giorni, l’ex palestra comunale di piazza Pietro Lupo, da tempo ricovero di disperati, è stato il primo degli immobili comunali ad essere “risanato”. L’ingresso è stato murato e gli inquilini, se extracomunitari regolari, smistati tra i vari centri d’accoglienza. Gli altri, gli irregolari, lasciati al proprio destino. Una sorta di allenamento, prima di intervenire sul ben più grande palazzo delle poste? Qui, nonostante l’edificio si trovi proprio di fronte alla sede dell’ufficio sanitario della questura, gli occupanti abusivi sono subito tornati. «Piazza Lupo è stata rioccupata dalle stesse persone che erano state sgomberate». Ad affermarlo è Padre Valerio Di Trapani, direttore della Caritas diocesana di Catania, che tiene a sottolineare come «quando avviene uno sgombero, di solito i medesimi siti vengono rioccupati in condizioni peggiori di prima. Come ad esempio è successo in più occasioni in Corso Martiri della Libertà».

Entriamo nell’ex-palestra dal varco, ben evidente, creato sulla porta murata. Sono le cinque del pomeriggio. All’interno della struttura, dove fino a non molti anni fa si allenava la squadra di scherma del CUS Catania, l’atmosfera, e la puzza, ricordano moltissimo il palazzo delle poste di viale Africa. Mucchi di spazzatura e vestiti, materassi, e persino una bombola del gas, fanno mostra di sé negli angoli della piccola palestra. I bagni e gli ex spogliatoi sono stati trasformati in camere private, con i lucchetti alle porte, ma dei grossi buchi permettono di guardare all’interno. Due o tre letti, alcuni materassi per terra. In una stanza ci sono persino i comodini, come in una normale camera da letto. Dei rumori provenienti da uno dei vani ci avvertono che anche a quest’ora del giorno il posto non è disabitato. Usciamo, in cerca di risposte.

«Noi non possiamo fare niente senza una denuncia», ci dice subito il poliziotto in servizio davanti alla sede dell’ufficio sanitario della questura, a circa 50 metri dalla palestra. L’entrata è perfettamente visibile, ma il poliziotto si giustifica comunque: «Entrano dall’altro lato, nascondendosi, noi da qui non possiamo vedere nulla». Incredibilmente non sembra aver notato il nostro ingresso attraverso l’enorme buco fatto nei mattoni, avvenuto pochi istanti prima. «Ah, hanno riaperto il buco da questo lato? Non ne sapevo nulla», afferma, prima di cominciare una filippica – premettendo il classico «non sono razzista» – sulla piaga dell’immigrazione clandestina.

Il Centro Astalli si trova a poche centinaia di metri da Piazza Pietro Lupo e, fra il solito andirivieni di extracomunitari, chiediamo della rioccupazione della palestra, una situazione ben nota all’interno del Centro: la questione ci era stata segnalata proprio da alcuni volontari. Una delle responsabili, la dottoressa Elvira Iovino, ammette però in tutta onestà: «Io non lo sapevo, ma la notizia non mi stupisce. L’assessorato alle politiche sociali ha gestito questi sgomberi, e ho anche partecipato al “presidio leggero” che dovrebbe monitorare queste situazioni, come anche quella del palazzo delle poste». Allarga le braccia, come a sottolineare che se l’amministrazione comunale non fa il proprio dovere, c’è ben poco da “risanare”. «Del resto – continua – i poveretti non hanno dove dormire, ed è normale che buchino i muri per entrare, nonostante proprio di fronte ci sia la polizia. La cosa potrebbe far ridere…».

La locanda del samaritano della Caritas non è una vera e propria residenza, è una sorta di albergo, dove si dà ospitalità per periodi non più lunghi di tre mesi. Da qui sono passati anche alcuni degli inquilini dell’ex palestra di piazza Lupo, prima di tornare a rioccuparla. Padre Valerio Di Trapani attribuisce quanto successo alla mancanza di una strategia per l’inclusione sociale di queste persone: «Si è trattata di un’operazione di polizia “ingenua”, dove l’ingenuità è stata pensare che il fine unico dell’azione fosse liberare quel posto dagli occupanti. Operazioni del genere di solito sono “politiche”, per far vedere che si sta intervenendo. Avevamo previsto che le persone sarebbero rientrate, e così è avvenuto». Viene da chiedersi comunque se quanto accaduto in piazza Lupo potrebbe ripetersi al palazzo delle poste. Per il prete, la situazione è diversa perché «al palazzo delle poste, prima di sgomberare, si è pensato a un progetto che permettesse a chi lo occupava di trovare condizioni migliori. Per questo, al momento dello sgombero lo stabile era praticamente vuoto. Lo stesso per il palazzo di cemento: prima dello sgombero si è lavorato per convincere gli abitanti ad accettare degli alloggi di emergenza per tre mesi».

Eppure, la città in questi giorni sembra vivere una nuova emergenza immigrati, con decine di extracomunitari che dormono per le strade del centro e situazioni come quelle di piazza Pietro Lupo che diventano più evidenti. Può aver contribuito lo sgombero del palazzo delle poste? «La maggior parte degli ex occupanti – spiega padre Valerio – è stata inserita in altri luoghi e residenze, l’unica situazione rimasta in sospeso è quella di una trentina di tunisini irregolari. Possiamo ospitare chi è senza permesso di soggiorno, nessuno ce lo vieta, purché abbia un documento, ma chi non è in regola di solito sa che non può presentarsi nei luoghi d’accoglienza, come in un qualunque albergo, perché c’è l’obbligo di comunicare le presenze alla questura». Per il direttore della Caritas, «l’emergenza principale riguarda le centinaia di fuoriusciti da Mineo. Negli scorsi mesi sono state più di ottocento le persone che hanno richiesto il permesso provvisorio. E queste solo a Catania».

Le sue parole somigliano moltissimo a quelle del professore Carlo Pennisi, attuale assessore ai servizi sociali del comune di Catania. Alla domanda: «Perché queste operazioni di sgombero sono avvenute tutte in questo periodo?», l’assessore risponde che «si è intervenuto adesso perché ora c’è una strategia di inserimento sociale». Una sinergia, quella tra l’assessorato e la Caritas, che non finisce all’interpretazione dei problemi. Pennisi ci spiega infatti anche che «le famiglie del palazzo di cemento avranno il buono casa dal comune. E se gli affittuari non vorranno fidarsi del comune, si rivolgeranno alla Caritas, che ha dei fondi per un programma di supporto agli affitti simile». Ma questa è la storia di un altro sgombero. Ci torneremo.

Leandro Perrotta

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