Palermo, una città verso le elezioni

Le breve stagione delle elezioni amministrative di Palermo per eleggere il Sindaco e rinnovare il Consiglio Comunale, i Presidenti ed i Consigli di Circoscrizione è ormai entrata nel vivo. Definita la platea dei candidati a Sindaco e ormai chiuse le liste, si rende necessaria una riflessione approfondita su cosa sta già accadendo a Palermo nei quartieri, nelle famiglie, nelle associazioni.

Come di consueto, mentre l’attenzione è massima sui candidati a Sindaco che pur, in misura e con stili diversi, si contendono la poltrona di Palazzo delle Aquile, ogni soggetto politico – presente già con il proprio simbolo nelle istituzioni o di generazione spontanea attraverso le liste civiche – sta presentando alle elettrici ed agli elettori cospicui elenchi di nomi nell’imponente misura di oltre 1500 persone.

Mentre si invocano da ogni parte nuove qualità e adeguate competenze degli amministratori pubblici, nella pratica quotidiana della politica locale si opera in modo abbastanza schizofrenico, con ampio ricorso a “metodologie” di selezione dei candidati che, diciamolo pure, in nulla differiscono dal passato.

Si punta in larga misura a privilegiare candidati “giovani”, candidati “scafati”, candidati “ammiccanti” o più semplicemente candidati di cui si conosce la numerosità del nucleo familiare allargato o la consistenza della clientela nel caso di professionisti, in particolare medici o qualche raro avvocato.

In taluni casi sono candidati esponenti del disagio lavorativo, sanitario, studentesco ecc, nella speranza di captare elettori che si riconoscano in questo o quel problema che si trovano a vivere personalmente.

Mentre ai candidati a Sindaco, si richiedono capacità di proposta, di soluzione dei problemi, di incisività dell’azione amministrativa, per la gran massa dei candidati agli altri ruoli tale soglia di desiderabilità si abbassa bruscamente. Un candidato o più per famiglia, uno o più per associazione, uno o più per cooperativa sociale eccetera.

Sembra essere assente in questo caso ogni criterio di competenza, nell’errato convincimento che, alla fine, i Consiglieri Comunali o di Circoscrizione siano solo chiamati “ad alzare la mano” a comando più o meno esplicito del proprio referente politico.

Si tratta di un errore di valutazione estremamente clamoroso che, sovente, poggia sulla lacunosa conoscenza di ruoli e funzioni delle istituzioni locali. In particolare, si continua a pensare che il Consiglio comunale, non essendo più la sede dell’elezione del Sindaco e della Giunta, sia di fatto passato ad un rango minore: un rango di ratifica di decisioni prese altrove e in mancanza delle quali tenuto “in attesa” spesso per interse settimane o mesi.

In realtà la previsione normativa che “separa” i due organi, oggi resa ancora più visibile dall’esercizio del voto disgiunto, trae origine da una fondata riflessione che vede il Sindaco e la Giunta, pur dotati di maggiore autonomia rispetto al passato, un vero e proprio “esecutivo” rispetto alla pienezza della rappresentanza popolare identificata nel Consiglio.

Si pensi infatti a tre grandi ambiti di competenza che detto Organo mantiene: il presidio dello Statuto, matrice di ogni altro atto amministrativo, il varo di tutte le politiche di programmazione e di regolamentazione di ogni aspetto della vita della Città, il Bilancio.

Tre grandi comparti dell’amministrazione locale che oggi – e presto ancora di più – sono all’origine del destino di un territorio disegnandone l’uno l’idea di Città, l’altro i modi di funzionamento interno ed esterno dell’Ente nelle diverse articolazioni amministrative e territoriali, l’altro ancora, infine, le priorità finanziarie rispetto ai bisogni più strategicamente ritenuti prioritari, lontano dalla cultura dell’emergenza che quasi sempre contraddistingue – e rende infinitamente più costoso – l’intervento pubblico.

Eppure negli ultimi dieci anni pochissime sono state le proposte di atti deliberativi di iniziativa consiliare, mente molte le mozioni e gli atti ispettivi volte più a farsi notare dai propri elettori portatori di bisogni spesso di livello poco più che individuale o, nel legittimo gioco della dialettica consiliare, a porre in difficoltà o a “sanzionare” il Sindaco o i singoli assessori.

Siamo dunque lontani da un Consiglio comunale in cui, legittimati proporzionalmente dal consenso di tutti i cittadini, siedano esponenti dotati di esperienza specifica, competenza nei settori della pubblica amministrazione, pratica efficace dei sistemi di pianificazione e di gestione di organizzazioni di livello complesso.

Siamo lontanissimi dalla visione di presidenti di tale Organo che interpretino il ruolo con la dignità istituzionale dovuta e con un livello di rappresentanza che non è inferiore a quello del Sindaco.

Da ciò il “ripiegamento” dell’Organo a luogo dove aspetti esteriori e profondi, di contenuto e di forma, scendono spesso sotto il livello della decenza e, talvolta, della civiltà. Non si comprende inoltre il vezzo antico di sedute notturne, di appelli saltati, di interruzioni continue, di lunghi bivacchi nelle sale del Palazzo in attesa della “chiama”.

Uno stile di Governance, si direbbe in altri contesti, non certo adeguato ad una delle principali città italiane, carica di storia, di illustri tradizioni e della testimonianza di illustri esponenti che le tante Lapidi dell’omonima sala cercano timidamente di ricordare.

Uno stile che, inoltre, rimarca il carattere ancora spiccatamente “maschile” dell’istituzione, sapendo bene, per esempio, come diverso è il senso del tempo per le donne, al pari del pragmatismo e dell’essenzialità dei comportamenti finalizzati al raggiungimento di obiettivi concreti.

Da ciò l’assenza pressoché totale di una visione della Città che trova comunque nello Statuto, pur nella diversità dei mezzi scelti dalla politica per perseguirli, una ben netta definizione degli obiettivi di bene comune da raggiungere.

Principi chiari e ben delineati che non possono infatti essere valicati dal Sindaco o dallo stesso Consiglio, salvo a modificarne l’impianto con le maggioranze qualificate previste dallo stesso.

Da ciò, ancora, il fertile “pascolo” offerto ai giovani e giovanissimi cronisti, inviati a cogliere più gli aspetti di colore, la rasentata rissa, la frequente considerazione dell’inutilità della specifica seduta, il tragico elenco delle delibere giacenti, spesso in quantità industriale, in attesa dell’atteso prelievo per la discussione, gli emendamenti , la sospirata decisione.

La prossima amministrazione dovrà in larga misura confrontarsi con provvedimenti rifondativi della Città e in larga parte di competenza proprio del Consiglio comunale per la straordinaria portata che ciascuno di essi avrà sul presente e sul futuro dei palermitani di oggi e di domani , del territorio, dello sviluppo civile, economico, sociale e culturale. A tale compito rischia di presentarsi un’aula impreparata e disorientata al compito, quanto invece magari è preparata o ben orientata alla propria professione – o meno – di provenienza

Alcuna attività di informazione infatti, né tanto meno di formazione viene indirizzata ai neo eletti, catapultati spesso dalle proprie professioni, mestieri, studi o attività casalinghe, nel linguaggio e nei contenuti dell’agire amministrativo. Si vaga così per mesi in cerca di un regolamento che deve essere ristampato da decenni, piuttosto che di un tavolo dove scrivere o ancora di una vaga idea di quali siano i propri compiti, i propri limiti, le proprie prerogative istituzionali. Ed è inevitabile che in tale stato confusionale si finisca per reiterare i comportamenti suggeriti da consiglieri già esperienti, navigati, introdotti ecc, appartenenti al proprio, se non addirittura ad altri gruppi consiliari.

Si perpetuano così abitudini, inefficienze e ulteriore degrado del costume istituzionale che non giovano né all’immagine né alla sostanza dell’azione amministrativa in favore della Città.

Si interroghino su ciò le elettrici e gli elettori di Palermo quando, vedendo questo o quel volto sui manifesti elettorali o questo o quel nome sulle liste esposte nei seggi, dovranno chiedersi se stanno votando il cugino, il parente o l’amico piuttosto che uno o una delle cinquanta persone cui stanno per affidare il futuro proprio, dei figli, dei nipoti.

Se lo chiedano quando unitamente a porgere un fac-simile cacciato frettolosamente in una mano esitante, il candidato si limiterà ad assecondarne i più profondi e talvolta drammatici bisogni dell’ormai supposto acquisito elettore, con un ammiccante “non c’è problema, poi ci penso (sic!) io”.

Palermo cerca una svolta, un nuovo destino che la conduca lontano dal proprio drammatico presente da cui già sono fuggiti i giovani più brillanti o semplicemente i più indignati o i più disperati.

Tale destino nascerà non dall’affidamento a questo o quell’uomo o donna della Provvidenza ma solo da una presa di coscienza – che non conosce limiti di cultura, di ceto sociale o di provenienza culturale – che consiste nel progressivo convincimento che una Comunità costruisce da sé il proprio domani attraverso la scelta di coloro che devono guidarne il cammino di miglioramento non solo con onestà e trasparenza, che sono la soglia minima d’ingresso nella vita pubblica, ma soprattutto con la credibilità della propria storia professionale e civile e con la disponibilità ad elevare ancora più al di sopra di esse la storia politica e amministrativa della Città che hanno scelto di servire, per un determinato e ben definito periodo di tempo, con piena consapevolezza, totale dedizione, incondizionato e reale interesse e amore per il la sua storia e per il suo sviluppo: radici ed ali di una identità proiettata nel tempo.

Dedicato ad Antonino Caponnetto, Primo Presidente del Consiglio Comunale di Palermo, 1993

Foto di Palermo panoramica tratta da laprimapagina.it

 

Loris Sanlorenzo

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