Palermo, luoghi comuni e frasi fatte

Debbo dire che mi dispiace davvero, sulle prime avevo sposato in mancanza di offerte migliori, la causa di Leoluca Orlando sindaco di Palermo ed ora sono costretto a registrare il suo ritiro dopo, la si giustifichi come si vuole, quella che mi pare non si possa definire altrimenti se non un vero e proprio sgambetto che il leader nazionale di Italia dei Valori ha fatto al suo più intelligente e colto esponente. Palermo perde, dunque, un protagonista che, mi rincresce per Leoluca, al quale mi legano molte condivisioni culturali, vede bruciata forse l’ultima carta per un suo legittimo rilancio a livello nazionale. Cosa resta, ora, nella sinistra palermitana che, sarebbe inutile ripeterlo, a causa della pessima gestione Cammarata avrebbe potuto sperare di conquistare palazzo delle Aquile?
Non voglio, ulteriormente, infierire sulle candidature presentate, più volte mi sono pronunciato esprimendo motivate riserve, anche perché, con qualche eccezione, mi sembrano non solo non all’altezza dei bisogni della città ma, soprattutto espressioni di quelle culture mediocri fatte di luoghi comuni e frasi fatte che non solo non costruiscono ma, soprattutto, dividono. Dico che resta ben poco e, anche questo, mi rincresce.
Allargo, invece, il discorso ad un’iniziativa, concretatasi in un incontro pubblico di tutto rispetto, che hanno preso alcune espressioni della borghesia palermitana insoddisfatte di quanto in questo difficile passaggio sta avvenendo nella nostra città. Mi ha sorpreso l’ampia e qualificata partecipazione che ha registrato l’incontro, svoltosi ieri l’altro in un albergo dell’Addaura; c’erano, infatti, intellettuali, professionisti, imprenditori molti dei quali, finora, avevano solo manifestato il classico mugugno, cioè il fastidio di vivere una condizione di dimezzata cittadinanza. Una partecipazione che considero utile a far sperare che qualcosa si stia muovendo realmente a livello di società civile.
E’, infatti, forse la prima volta che un pezzo di borghesia palermitana, quella tradizionalmente disimpegnata, si interroga sul destino della città e sul proprio ruolo. E’ il futuro, opportunamente evocato in un intervento di una delle partecipanti – provocatoriamente, si è qualificata come “madre” – che è aleggiato come punto di fuga del dibattito, un futuro che dovrebbe interessare tutti ma soprattutto chi ha, per il ruolo che esercita e la cultura che lo supporta, capacità di leggere meglio che altri i fatti e i processi. Perché, diciamolo con la schiettezza che ha sempre contraddistinto i nostri appunti, Palermo non può cambiare inseguendo, come spesso ha fatto certa sinistra, le demagogie populistiche protese a disegnare futuri palingenetici, Palermo non può cambiare scopiazzando libri dei sogni, Palermo può cambiare se il suo ceto dirigente, non parlo dei politici e della loro della politique politicienne ma appunto quello fatto delle categorie che citavamo, prende coscienza del proprio ruolo e, mettendo fine al disimpegno, si proponga come avanguardia e guida di un progetto culturale che punti a costruire una nuova cittadinanza.
Ecco perché quest’incontro mi è parso utile, perché vi ho visto aleggiare una speranza che personalmente ho sempre nutrito e che , tuttavia, non ho finora riscontrato. La speranza che questa parte di società, al di là della risposta ad un appello, e piuttosto che continuare a stare alla finestra abbia finalmente il coraggio di intraprendere una strada che è difficile, magari mettendoci la faccia e, sopratutto, smentendo la inquietante pagina del ‘Gattopardo’, per sposare, una volta e per tutte, la cultura del “fare” , un fare che deve essere tradotto in buona politica per il bene comune, bene comune che per riflesso ê anche, naturalmente, bene personale.

 

Pasquale Hamel

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