«Il Dipartimento farà la proposta questa sera, decidiamo se glielo vogliamo dire oggi o se glielo vogliamo dire domani, perché se glielo diciamo a Orlando, Orlando se la vende subito». Parola dell’ormai ex assessore alla Salute Ruggero Razza, che in una conversazione con il presidente della Regione, Nello Musumeci, comunicava la pericolosità dei numeri riscontrati su Palermo. Era il 19 marzo e il capoluogo rischiava seriamente di diventare zona rossa: troppo alti i numeri, circa cinquecento nuovi positivi in un solo giorno (cifra comunicata a Razza poco prima da Letizia Di Liberti), culmine di un trend che da giorni non faceva che salire. Positivi che già nella prima telefonata di Razza a Musumeci diventano quattrocento. Il confronto tra i due è contenuto nelle carte dell’inchiesta che ha provocato un terremoto all’assessorato alla Sanità.
Il giorno dopo Musumeci (non indagato, ndr) e Razza si risentono, ma stavolta della minaccia zona rossa non c’è più traccia. «Non ti sei più fatto sentire ieri… non so più niente su Palermo!» dice il presidente a Razza, che da par suo minimizza: «Cosa… Palermo? Ah… no…non ti… abbiamo i dati… è sotto… è abbondantemente sotto i 250». «Eh.. minchia …allora perché.. mi avevi detto 400!» replica il presidente. «No.. ieri erano 400 .. ma nella settimana.. eh… sono stati a duece.. sono a centonovantasei per 100mila abitanti». In realtà il giorno prima il tono di Razza, secondo gli inquirenti, non sarebbe stato così tranquillo, anzi, era stato proprio lui a dire a Musumeci che «si impone la necessità di dichiararla zona rossa». Scorrendo le pagine dell’indagine gli inquirenti appuntano anche il nome di Renato Costa. Il commissario Covid per la provincia di Palermo non è indagato ma il 15 marzo scorso non si sarebbe opposto davanti alla scelta della dirigente Di Liberti di inserire un dato al ribasso dei positivi. Idea, quest’ultima, che la donna avrebbe maturato dopo un colloquio con Razza: «Ruggero dice che sono troppi […] quindi li abbasso a 285», spiegava riferendosi alla cifra iniziale di oltre 300 malati. Costa dava il suo assenso e insieme alla dirigente stabilivano di aggiungere quelli mancanti l’indomani. Per la giudice che ha firmato l’ordinanza il commissario era «consapevole della prassi di diluire i dati del contagio, fornendo un contributo morale decisivo».
E dire che proprio Leoluca Orlando, che secondo i due membri del governo si sarebbe «venduto subito» la notizia della zona rossa, era stato il primo, già dallo scorso ottobre, a chiedere con forza più e più volte un canale privilegiato di accesso ai numeri in dettaglio per l’amministrazione comunale palermitana, tanto da arrivare a minacciare di chiudere le scuole qualora non fosse arrivata la completa condivisione delle cifre e dei dati. Istanza solo parzialmente ascoltata dalla Regione, che ha spesso trovato il modo di glissare.
«Se è confermato, è inaccettabile pensare di scherzare con la vita delle persone, con la vita delle città, fornendo dati manipolati per chissà quali interessi – la replica del sindaco di Palermo – Io, come sindaco di Palermo e come presidente Anci Sicilia, a nome di tutti i sindaci chiedo chiarezza. Noi sindaci ci siamo attenuti alle indicazioni che ci venivano fornite e adesso sorge ancora una volta il dubbio che si tratti di dati non veritieri, addirittura manipolati ad arte. Voglio ricordare ancora ad ottobre la polemica con il Governo regionale, quando chiesi l’intervento del Governo nazionale per accertare i dati che riguardavano i contagi a Palermo per consentire o non consentire la riapertura delle scuole».
Quella volta le rassicurazioni arrivarono proprio da Roma e le scuole rimasero aperte. «In questi mesi, in queste settimane ho continuamente richiesto all’assessore Razza e a tutti gli organi competenti sanitari locali di fornire dati certi, non a nome mio, non per Palermo, ma per tutti i comuni della Sicilia – continua Orlando – E oggi siamo in presenza di un dubbio grande, enorme, che finisce certamente col creare sfiducia, penalizzare la vita delle persone e rendere incerta l’attività dei sindaci, noi che siamo chiamati da una parte a ricevere dati che dovrebbero essere corretti, dall’altra parte ad adottare provvedimenti». Parole che sono finite anche su una lettera che il primo cittadino ha inviato al ministro della Salute Roberto Speranza.
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