Da simbolo del degrado a emblema della legalità. Un rovescio della medaglia non semplice ma che rischia concretamente di trasformarsi in un clamoroso boomerang. I lavori di riqualificazione del palazzo di cemento, al viale Moncada 3 a Librino, per il momento restano fermi. Dopo lo sciopero indetto dagli operai della ditta impegnata nel cantiere la data segnata nel calendario di questa torrida estate è quella di Ferragosto. Giorno entro il quale, stando alle rassicurazione dell’assessore ai Lavori pubblici Pippo Arcidiacono, potrebbe sbloccarsi una parte dei pagamenti. «Al momento i lavoratori sono indietro di diverse mensilità e in totale la cifra da saldare ammonta a poco più di un milione di euro», racconta a MeridioNews Nunzio Turrisi, segretario generale della Filca Cisl Catania.
Ma cosa c’è dietro questi ritardi? L’inghippo sarebbe legato a una questione prettamente burocratica sui fondi pubblici destinati all’opera. Poco più di sei milioni di euro che fanno parte del Patto per Catania, firmato nell’aprile 2016 dall’allora presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi e dal sindaco etneo Enzo Bianco. «Il ministero delle Infrastrutture gira i soldi al Comune che, in qualità di stazione appaltante, paga la ditta – racconta Domenico Murabito della Filca Cisl -. Da quello che sappiamo ci sono dei ritardi dovuti alla burocrazia, persistenti almeno da un mese». Con questo quadro generale però la situazione potrebbe andare anche a peggiorare. Al primo stato d’avanzamento dei lavori, per una cifra di un milione e 30mila euro, se ne sarebbe aggiunto un secondo, inoltrato dalla ditta a giugno, per un importo di 300mila euro. «Abbiamo avuto un incontro ufficiale con l’assessore Arcidiacono – prosegue Murabito – e lui si è detto disponibile a convocare la Filca Cisl unitamente alla ditta esecutrice per un tavolo tecnico su questa vertenza. L’obiettivo, intanto, è quello di stornare i soldi almeno ai lavoratori. Ad oggi però non abbiamo ricevuto alcuna comunicazione».
I lavori all’interno del cantiere sarebbero stati completati per il 60 per cento. Nonostante il sostanziale ritardo accumulato negli ultimi mesi. «Diversi operai hanno preferito licenziarsi – conclude Turrisi -. Dei 20 impegnati all’interno del cantiere ne rimangono operativi soltanto alcuni. Più che altro a presidio di un luogo che potrebbe facilmente finire nel mirino dei vandali». Il crono programma dell’opera, d’altronde, ha già dovuto fare i conti con diversi ostacoli. In particolare dovuti al ritrovamento nei vani ascensore e nei piani alti di alcuni arsenali di armi e ordigni. Segni indelebili di quello che è stato il palazzo di cemento, ex centrale dello spaccio in mano alla famiglia mafiosa degli Arena. Oggi la vendita al dettaglio si è spostata nel palazzone di fronte a quello con i lavori in corsi. In una zona che all’inizio dell’anno è stata tappa della visita del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
I lavori di recupero all’interno del palazzo di cemento era stati annunciati a fine 2016. Ad aggiudicarsi l’appalto, il 9 agosto dello stesso anno, era stata la ditta Salvatore Coco, con sede nel Comune di Paternò. L’opera, alta 52 metri, risale agli anni ’80, quando ha realizzarla fu l’imprenditore Francesco Finocchiaro. Indicato come uno dei quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa dal giornalista Pippo Fava. Secondo il progetto iniziale, redatto dall’architetto Giacomo Leone e che in parte ricalca anche quello attuale, i primi due piani dell’edificio sarebbero dovuti essere destinati ad uffici e associazioni. I restanti 12 piani, con ben 96 alloggi, da assegnare con graduatoria pubblica. La storia però ha seguito altre strade e la costruzione è diventa il luogo simbolo del degrado del quartiere dormitorio nella periferia Sud-est di Catania.
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