Palazzo della Cultura, groviglio di cavi diventa Medusa La nuova azione degli artisti di Res publica temporanea

«Il palazzo della Cultura dovrebbe essere il fiore all’occhiello, non capiamo come faccia il Comune ad accorgersi di quello che succede da anni». Su una delle facciate laterali dell’ex convento San Placido – in via Landolina, proprio all’incrocio con via Vittorio Emanuele – da circa quattro anni pende un groviglio di cavi che ormai è arrivato a due metri dal marciapiede. Adesso i lunghi fili neri sono diventati la chioma di una mitologica Medusa. È l’ultima installazione artistica del collettivo Res publica temporanea, il gruppo formato da Luca Prete, Emanuele Poki e Alessandro Grasso

«Quando camminiamo guardiamo sempre al cielo, da tempo ci siamo accorti di quel cavo», raccontano con un sorriso gli artisti. «È così evidente – sottolineano – Fanno molto rumore perché in città ci sia pulizia e decoro. E invece su quello che è il cuore della cultura in città non ci si accorge di una cosa così evidente come un groviglio di cavi. Non capiamo come faccia il Comune a non rendersene conto, dovrebbe essere una cosa basilare». Da qui l’idea di dare trasformare un segno di incuria in qualcos’altro. «Abbiamo fatto notare che non ci vuole nulla ad aggiustare le cose – sostengono gli artisti – Abbiamo dato un senso e un’esistenza a quei fili, per far sì che non sia solo un groviglio». E la scelta di mettere Medusa a guardia dell’edificio storico non è casuale. «Certe cose, quando vedi che non sono curate, ti lasciano di pietra». Poi aggiungono: «È come se la mano che tiene Medusa sia quella stessa del Comune».

Il collettivo di giovani artisti non è nuovo ad azioni di questo genere. Negli anni sono state numerose le opere – più o meno temporanee – con le quali hanno lasciato dei messaggi alla città. Dal missile che porta la pace ancora visibile agli Archi della Marina, alle trasformazioni di cui è stata resa protagonista la statua del re borbone di via Dusmet, fino al gigantesco Fish magique al mercato della pescheria. «La nostra città ha questo problema: spesso si addormenta – riflettono i componenti del gruppo – In questa maniera ci teniamo sempre vigili e svegli». E, concludono, «l’opera instilla anche negli altri l’ispirazione a vedere le cose in maniera differente».

Carmen Valisano

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