Pagliarelli, dal Tribunale invito a indagare per tortura «Mio marito picchiato per avere denunciato gli agenti»

Lo spettro della tortura potrebbe abbattersi sul carcere Pagliarelli. È di ieri la notizia del provvedimento disposto dalla seconda sezione della Corte d’Assise d’appello di Palermo perché siano trasmessi in procura gli atti relativi al caso di Jebranne Ben Cheikh, detenuto di origini tunisine, «affinché si indaghi contro ignoti sul reato di tortura e sulle responsabilità degli agenti della polizia penitenziaria della casa circondariale Pagliarelli». 

Ben Cheikh, 30 anni, sta scontando una condanna in via definitiva per droga a quattro anni e sei mesi e si trova sotto processo a Palermo per il suo coinvolgimento nell’operazione Scorpion Fish, che nel giugno 2017 mise fine a un traffico di migranti che in poche ore sarebbero stati trasportati a bordo di gommoni veloci dalla Tunisia fin sulle coste di Marsala. Un procedimento giudiziario che ha visto Ben Cheikh condannato in primo grado a sette anni e quattro mesi di reclusioni, in quanto ritenuto uno dei vertici dell’organizzazione, e in cui è coinvolta anche la moglie dell’uomo, la fiorentina Simonetta Sodi. Fin dai primi giorni di reclusione al Pagliarelli – in occasione del processo di primo grado, nella primavera dell’anno scorso – Ben Cheikh aveva denunciato le condizioni in cui si trovava detenuto, affermando di essere stato privato delle scarpe e in seguito di essere stato denudato e isolato in un locale fatiscente, costretto a dormire su un materasso intriso di urina, come ha raccontato anche la stessa Simonetta Sodi a MeridioNews

Una denuncia che potrebbe essere costata cara all’uomo. «Ieri ho rivisto il mio assistito – racconta Carmine D’Agostino, legale di Ben Cheikh – non lo vedevo da mercoledì, e ho notato dei lividi intorno alle orbite di entrambi gli occhi e un taglio sul sopracciglio. Dopo un po’ mi ha detto quello che sarebbe accaduto appena tornato al Pagliarelli, sabato scorso, in attesa dell’udienza di ieri. Ho fatto presente questa situazione al presidente della Corte – continua l’avvocato – e il mio assistito ha fatto delle dichiarazioni spontanee in aula, raccontando la propria versione di quanto accaduto. Il presidente ha fatto avvicinare l’imputato per guardare il volto, poi, dopo una lunga camera di consiglio, la Corte ha disposto l’invio degli atti alla procura affinché si indaghi per 613 bis, il nuovo reato di tortura, a carico di ignoti appartenenti al corpo penitenziario».

Simonetta Sodi aveva già in precedenza esternato tutti i suoi timori riguardo al ritorno a Palermo del marito, in occasione della precedente udienza per il caso Scorpion Fish, che intanto ha visto riaprirsi in fase dibattimentale l’attività istruttoria, quando Jabranne Ben Cheikh è dovuto tornare a Palermo. Quella volta, grazie anche all’intervento del garante regionale dei detenuti, l’uomo era però stato ospitato al carcere dell’Ucciardone. Una procedura che non si è però ripetuta questa volta. «È entrato al Pagliarelli a mezzogiorno – racconta Sodi a MeridioNews – e all’immatricolazione una guardia (che Ben Cheikh avrebbe descritto in aula come “pelato con le stellette sulle spalle” ndr) lo ha riconosciuto come l’autore della denuncia e lo ha colpito all’occhio destro. Ha gli occhi viola, gonfi. Subito dopo – continua la donna – è arrivato un altro che lo ha preso per il collo e lo ha colpito all’occhio sinistro. È stato trascinato nella stanza psichiatria, dove non ci sono telecamere e hanno continuato. Ha un ginocchio con un versamento. All’una meno venti c’era già il referto ospedaliero. Non posso e non voglio tacere su questa storia».

Al momento né la moglie né il legale sanno con certezza dove si trovi recluso l’uomo, per cui è stato comunque disposto il trasferimento dal Pagliarelli. «Il presidente – conclude l’avvocato D’Agostino – ha sollecitato il Dap (Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria ndr) per un immediato trasferimento e ha anche inviato al Pagliarelli il necessario per disporre gli opportuni provvedimenti a tutela della sua incolumità. Inoltre ho chiesto e ottenuto – conclude il legale – che il mio assistito possa partecipare alle prossime udienze in videoconferenza dal nuovo carcere di destinazione». 

Gabriele Ruggieri

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