«Un rapporto tra padre e figlio che spiazza perché non siamo abituati a viverlo così intimamente» afferma il presentatore della serata mentre introduce il documentario Padre Nostro proiettato domenica 1 marzo allo Zo di Catania. E in effetti già l’inizio del film sorprende. Due corpi maschili, nudi, sdraiati su un letto, stretti l’uno nelle braccia dell’altro. Di primo acchito non sembrano proprio padre e figlio. Poi però l’inquadratura focalizza i loro visi e comincia un dialogo che fa dissolvere presto i dubbi. Vannino, il padre, intima al figlio, in stretto dialetto siciliano, di svegliarsi nonostante l’alba non sia ancora spuntata. Si abbracciano, si accarezzano e nel frattempo Salvatore, il figlio, gli ricorda che deve farsi il bagno. Sono complici di una confidenza disarmante. Stupisce anche la loro fisicità: entrambi panciuti, flaccidi e solcati dai segni dell’età sul viso. Due uomini veri, diversi dai soliti attori bellocci che popolano il cinema e la televisione. Salvatore si prende cura del padre: lo lava, lo veste, gli lima le unghie. Lo fa con devozione, come se fosse normale, come se si stesse prendendo cura di se stesso. Trascorrono attimo per attimo delle loro giornate sempre insieme. Non condividono solo il letto, ma anche la doccia. Quando alla fine della giornata finalmente si mettono a letto, il padre, prima di addormentarsi, si fa grattare. La scena è ambigua: Salvatore, stretto al padre, celato dalle coperte, lo gratta. Gli spettatori rimangono col fiato sospeso. Poi la mano di Salvatore fa capolino dalle coperte e l’equivoco si risolve: gratta le spalle e le gambe di Vannino che soffre di un maledetto prurito al corpo. Geme di sollievo quando il figlio lo gratta.
Salvatore cucina spesso per lui. E ogni volta lo rimprovera perché si sporca mentre mangia. Nonostante tutto però gli pulisce amorosamente le labbra con un tovagliolo. Scena davvero toccante. Un’esistenza annullata, quella di Salvatore, nei bisogni del genitore. Non esce mai con gli amici, né con una donna. I suoi rapporti sociali sono circoscritti al padre e al suo lavoro di gallerista. E in quest’ultimo il padre è onnipresente. Infatti Salvatore lo porta con sé in ufficio e alle mostre realizzate nella sua galleria. Non lo lascia mai a casa da solo. Anche questo un fatto insolito, nell’Italia delle badanti polacche e delle ‘Case serene’. Per Salvatore il padre non è un impiastro, non un peso. E Vannino grazie al figlio vive la sua senilità in pace, senza soffrire di solitudine. Certo in alcuni momenti sembra subire questa totale dipendenza dal figlio. E in alcune scene cerca di imporsi, di fargli capire che nonostante tutto comanda ancora. Ma poi, quando rimane senza di lui per una sola notte in ospedale, la mattina seguente lo rimprovera ricordandogli che è suo padre. Allora il figlio per farsi perdonare lo fa mangiare. Lo imbocca. E per stimolargli l’appetito, assaggia anche lui la pietanza. Tenera è la scena: una cucchiaiata la dà al padre, l’altra la riserva per sé. Qualcuno tra il pubblico si lascia scappare un “che schifo”. Altri invece sorridono divertiti.
Salvatore accudisce Vannino come fosse un figlio: gli asciuga le bave, controlla l’alito, è attento al suo stato di salute. Un suo colpo di tosse lo mette subito in allarme. Ha paura di perderlo e proprio per questo motivo vuole forse godersi, nella completa intimità, gli ultimi attimi di vita e di lucidità del padre. Ed è questa sua paura che salta all’occhio attento degli spettatori. «Ha un attaccamento morboso nei confronti del padre. Sembra attuare una sorta di processo identificativo. Non è Vannino che ha bisogno del figlio» osserva una spettatrice intabarrata nel suo cappotto scuro. Alcuni non apprezzano le scene equivoche: «La grattatina è eccessiva. E’ il figlio che insiste», afferma un signore attempato. E in certi momenti traspare violentemente questa morbosità. Come quando Salvatore gli chiede, mentre sono in macchina, di dirgli cosa sono le piante che intravedono dai vetri dei finestrini. Il padre prontamente gli risponde che sono cipolle. E Salvatore esulta di gioia gridando: «Allora vedi che non sei demente come dice il dottore?». «Secondo me è un bel rapporto d’amore da invidiare» esclama invece un ragazzo. Salvatore onora Vannino e lo fa in maniera fisica e spirituale. Entrambi sono i custodi di uno scambio di promesse solenni che rinnovano alla sera, prima di addormentarsi, quando all’unisono recitano: “Padre Nostro che sei nei cieli…”.
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