Pacificando favelas, Rio De Janeiro Città afrodisiaca piena di contrasti

Rio de Janeiro è un afrodisiaco. Scendi dall’aereo e hai i sensi inebriati. La temperatura tropicale ti fa ribollire il sangue, l’odore del mare ti spoglia e ti spinge in spiaggia. La vista dal Cristo Redentore è pura estasi: ci si abbandona al paradiso di verde, cemento e blu davanti agli occhi.

L’eccitazione forse si spegne quando ti accorgi che il primo pezzo di città sotto il Cristo è una piccola favela, Humaità, dove quest’estate un incendio ha distrutto un terzo delle sue barracche, lasciando i loro abitanti senza un tetto. Le favelas sono il pianto di Rio. Un milione e mezzo di persone abbandonate a loro stesse, senza un’amministrazione pubblica a fornire loro servizi e sicurezza. A quelle da tempo ci pensano le gang criminali.

Sembra, però, che le cose stiano cambiando. Non per una sana presa di coscienza collettiva, ma grazie ai Mondiali di calcio e alle Olimpiadi, che il Brasile accoglierà rispettivamente nel 2014 e 2016. Il Paese è una delle maggiori economie emergenti, esempio in America Latina, ammirata in Europa e in Nord America per la sua democrazia. Non può permettersi di rovinare la propria immagine mostrando l’illegalità ignorata.

Circa un anno fa il governatore dello stato di Rio Sèrgio Cabral ha lanciato l’Unità di Polizia Pacificatrice (UPP) nella più grande e incontrollabile favela della città,Rocinha. La ‘pacificazione’ del quartiere è pianificata in due stadi. Il primo consiste in un vero e proprio crackdown dei narcotrafficanti. Attacchi pesanti per catturare i membri dei gruppi criminali, la confisca di ogni tipo di arma nella zona. Il secondo è di tipo sociale: instaurare un senso di fiducia e legittimità nei confronti dello stato, fornire quei servizi essenziali (scuole, ospedali, raccolta rifiuti) che per decenni sono mancati.

La prima parte dell’operazione è in corso e sembra stia andando a buon fine, seppur con dei gravi imprevisti. Il servizio antidroga brasiliano stimava un fatturato di 2 milioni di dollari statunitensi a settimana per i Red Command. Sono i trafficanti di droga della zona, che portano la cocaina colombiana fino ai porti, destinata in Africa dell’Ovesto direttamente in Europa. Ora dei criminali è rimasto ben poco (i contrattacchi, tuttavia,non mancano), ma con loro se n’è andata anche la sicurezza nelle strade.

Come spesso accade quando lo stato manca, è la mafia che prende il suo posto. A Rocinha i Red Command mettevano ordine. Punivano chi stuprava, vietavano il furto nelle baracche. Senza di essi gli omicidi sono scesi drasticamente (pare del 78% in un’altra favela), ma i furti e i crimini di strada sono esplosi. E la polizia, da sola, non ha le risorse per gestire la nuova minaccia.

Sul lato sociale si è ancora agli inizi. Una settimana fa il governo ha organizzato un forum con gli abitanti del luogo. Il direttore del programma UPP Sociale Eduarda La Rocque ha mostrato al pubblico la strategia che implementerà, ricevendo commenti, critiche e suggerimenti da chi nelle baracche ci vive.

Ci sono anche gli scettici. Pedro Henrique De Cristo, seppur di classe media, parla la lingua delle favelas e dopo un dottorato ad Harvard è tornato lì, con la voglia di migliorare le cose. Si è messo subito a lavorare con la sezione sociale dell’UPP, ma il programma gli è sembrato vuoto, poco più di un gesto di marketing. Si è dimesso e ora denuncia la mancanza di strategia e lungimiranza dell’operazione.

Nonostante le critiche e le molte difficoltà logistiche e di risorse, l’esperimento ‘pacificatore’ di Rio sta facendo parlare di sé in patria, tanto che si pensa di applicarlo anche a São Paulo. 3,6 dei suoi 11 milioni di abitanti vive nelle favelas, e solo nelle ultime due settimane 140 persone sono rimaste uccise in scontri a fuoco tra gang e polizia.

Una pacificazione non sarebbe male.

[Foto di rocinha.org, post originale su Il Mafioscopio]

Stefano Gurciullo

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