Ovadia, il congedo dalla Sicilia tra gioie e delusioni «Metterò su comunque la mia compagnia di giovani»

Moni Ovadia è, almeno in teoria, una star. Ma non tanto nella pratica. Parla con voce pacata, ai complimenti ringrazia quasi con pudore, alle ingiustizie si offende con garbo fanciullesco. Commenta con candore le vittorie e le amarezze degli ultimi anni. L’attore e regista ormai da qualche tempo bazzica la terra di Sicilia, da quando ha portato in scena al Teatro greco di Siracusa un’innovativa (e discussa) versione delle Supplici di Eschilo. Da Siracusa a Caltanissetta, e poi da Caltanissetta a Catania, con la candidatura a direttore artistico dello Stabile: il passo sembrava logico e consequenziale. Le idee artistiche maturate in questi tre anni di incubazione avrebbero preso aria e forma sul più fertile scenario catanese. Ma le cose sono andate – andranno – diversamente. E Ovadia racconta come. Nonostante i suoi 72 anni, questo non è un testamento spirituale sul lavoro passato. È un progetto. Per il futuro.

Se dovesse fare un bilancio di questi tre anni al Regina Margherita, cosa direbbe? Come ha trovato il teatro e come l’ha lasciato?
«Non starebbe certo a me esprimere un giudizio. Ma nel complesso credo che sia stata un’esperienza positiva. Almeno, da quanto se n’è detto. Il teatro è cresciuto, abbiamo realizzato tutto uno spettro di attività importanti, ottenuto risultati al botteghino, il pubblico ci ha salutati con grandi applausi. Il sindaco di Caltanissetta, Giovanni Ruvolo, è venuto a seguirci al festival di Spoleto. Insomma, io e Mario Incudine abbiamo ricevuto tante manifestazioni di affetto. Certo, anche critiche, ma ormai a 72 anni so distinguere tra critiche fondate e calunnie».

Calunnie?
«Gente che vomita il proprio veleno appena sveglia la mattina sui social. Qualcuno se l’è presa con me dal momento in cui sono arrivato a Caltanissetta. Ma non me ne curo. Sono sfoghi di frustrazione, valgono quanto le scritte oscene sui cessi pubblici. Ad ogni modo, posso dirmi abbastanza soddisfatto. Certo, con un altro budget avremmo potuto allestire anche un laboratorio, ma sono sicuro che il nuovo direttore, Aldo Rapè, farà bene. Spero anche meglio. Noi abbiamo fatto quello che potevamo coi mezzi che avevamo».

Ci sono stati problemi con i fondi?
«Il Regina Margherita è un teatro meraviglioso, potrebbe ospitare anche una stagione operistica. Ma, che vuol farci, siamo partiti da un budget di 65mila euro, e solo alla fine siamo arrivati a 90mila. Ci si fa poco, noi abbiamo fatto dei miracoli. Tutti gli spettacoli li abbiamo pagati a prezzo di mercato, a volte anche meno. Tra l’altro né io né Mario abbiamo ricevuto un appannaggio: il Comune ha pagato per me voli e soggiorni direttamente. Non ho voluto che un centesimo passasse per le mie tasche, per evitare maldicenze».

QIn questi anni la sua residenza non è stata a Caltanissetta?
«No, con i miei impegni sarebbe stato impossibile. Però ho sempre avuto uno stretto rapporto con la Sicilia, sin dalle Supplici che ho fatto al Teatro greco di Siracusa».

Che è stato una pietra miliare nella storia recente dell’Inda.
«Mi fa un immenso piacere che dica questo. Ma nonostante il successo che lo spettacolo ha avuto, e nonostante quest’anno a Siracusa tornino le Rane, Supplici non è mai stato riproposto. Vede, a me non interessa il denaro o la posizione. Però sono radicale. E sono scomodo. Per questo non mi chiamano».

È quello che è successo per lo Stabile Catania?
«Quella di Catania è stata una scelta politica, chiaramente. E andrò in causa. Hanno scelto una signora che non ha neanche una virgola del mio curriculum: quantomeno voglio che un giudice terzo possa stabilire se la scelta è stata fatta su base artistica e di competenze o meno».

Il sindaco di Catania ha detto che lo Stabile non aveva bisogno di stelle, ma di un amministratore.
«La mia proposta era assolutamente ragionevole. Avrei prodotto un mio spettacolo ogni due anni, mica stiamo parlando di Ronconi che faceva sette regie in una stagione. Non avevo interessi personali in questa candidatura, quello a cui tenevo era metter su una compagnia nuova, con nuovi registi e una linea artistica, formare i giovani. Poi anche questa questione dell’amministratore… Lasciamo pure da parte me, ma guardate gli altri candidati: Orazio Torrisi conosce quel teatro come le sue tasche. Se era un amministratore che volevano, per tenere i conti in regola, avrebbero dovuto dare l’incarico a lui. Non a una che ha gestito un teatrino alla periferia di Genova e che per prima cosa mette sul cartellone un proprio spettacolo, per giunta vecchio».

Maestro, chiudiamo su una nota più felice. Ci parli dei suoi prossimi progetti.
«Col mio produttore privato metterò su al Piccolo di Milano uno spettacolo di narrazione e musica. Il titolo è Nish Koshe, yiddish per “così così”. Sottotitolo: Dio ride. Sarà un misto di canto, riflessione, umorismo e paradosso, sugli aspetti vertiginosi dei rapporti con la cosiddetta religione. Forse porteremo qualcosa all’interno di un’installazione artistica nel programma di Manifesta per Palermo capitale della cultura. E in più sto pensando a una scrittura a quattro mani con Mario Incudine per un lavoro internazionale».

Quindi continuerà la collaborazione con Incudine anche fuori dalla Sicilia?
«Ma certo, il nostro è ormai un sodalizio artistico a tutto campo. Guardo a lui come possibilità per un’alleanza tra generazioni. Ho ancora delle cartucce da sparare, è vero, ho delle idee, ma soprattutto voglio lavorare per gli altri. Per mettere in piedi una compagnia, possibilmente stabile, di giovani. Anzi, di giovanissimi. Per il futuro».

Andrea Tisano

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