All’ospedale Maggiore di Modica arriveranno gli ispettori per accertare cosa succede alla luce dei diversi presunti casi di malasanità che si sono verificati nell’ultimo anno. A deciderlo sarebbe stata la ministra Beatrice Lorenzin. Lo scorso 21 giugno, nella struttura ragusana, è morta Maria Grazia Di Fede, 32enne di Pachino, dopo aver partorito un feto morto all’ottavo mese di gravidanza. In un comunicato stampa l’Azienda sanitaria provinciale ha assicurato che i medici hanno assistito la donna rispettando i vari passaggi previsti. Ma l’episodio ha provocato rabbia e indignazione tra i cittadini e le istituzioni, soprattutto perché negli ultimi mesi le morti poco chiare registrate all’ospedale di Modica sono state diverse.
Il 14 giugno è avvenuto il decesso di Maria Occhipinti, 56enne di Pozzallo, dopo che era stata dimessa il giorno prima senza essere sottoposta a una Tac, nonostante manifestasse dolori laceranti all’addome. Per questa vicende tre medici sono stati indagati. Negli stessi giorni il 65enne Luigi Annino, che era stato ricoverato a Modica, è morto nell’ospedale di Ragusa in attesa di una coronografia. Due mesi prima, il 25 aprile, era toccato a Roberto Cannata, anche lui dimesso due giorni prima, poi tornato al pronto soccorso e morto poco prima di essere operato.
A queste si aggiunge la denuncia, presentata nel giugno del 2015 ma non emersa a livello mediatico, di un’altra donna, una 40enne avvocata che lavora tra Catania e Ragusa. Saputo della recente morta di Maria Grazia Di Fede, ha deciso di raccontare la sua storia, segnata da una gravidanza finita male. Motivo per cui ha presentato una denuncia contro i medici che l’hanno visitata sia all’ospedale di Modica che in quello di Ragusa. Il calvario della donna sarebbe iniziato nell’aprile del 2015, al quinto mese di attesa.
«Cominciai ad avvertire sbalzi di pressione e gonfiore alla pancia e alle gambe – racconta a MeridioNews -. Fui ricoverata una prima volta a Modica, poi a Catania dove mi trovavo per lavoro, ma i miei problemi stentavano a risolversi». Il 1 maggio del 2015, a causa di un peggioramento, viene ricoverata di nuovo a Modica. «Dopo qualche resistenza – continua la donna – il medico decise di farmi l’ecografia e, in un primo momento riscontrò qualche problema a percepire il battito del bambino, che invece disse di sentire qualche minuto dopo. Mi spiegò che la mancanza del battito non era da attribuire a un problema del bambino, ma a un malfunzionamento del macchinario. Quindi mi licenziò dopo una flebo per l’esofagite, consigliandomi di rivolgermi al mio ginecologo e di fare un po’ di dieta».
I problemi dell’avvocata però non rientrano. «Il mio medico – riprende – mi consigliò di recarmi a Ragusa. Nonostante non sentissi il bambino come prima e fossi piena di liquidi, dall’ospedale mi mandarono a casa dicendo di non preoccuparmi. Poco dopo, su insistenza di una amica, chiamai ancora in ospedale anticipando la telefonata con l’invio dei risultati delle analisi via fax, ma il medico mi rinviò a una visita presso il suo studio privato». Secondo il racconto della 40enne, la situazione precipita il sette maggio. «Andai in una farmacia per misurare la pressione che risultò troppo alta – spiega – tanto che chiamarono il 118. Arrivata all’ospedale di Modica, mi sottoposero a ecografia e venne fuori che il bambino era morto. Io ero in condizioni gravissime, con problemi a fegato e reni, mi fecero espellere il feto in un corridoio prima di arrivare in sala parto». Adesso la donna chiede «che gli inquirenti facciano chiarezza. È mio diritto – dice – sapere cosa è accaduto e per quale motivo la situazione è precipitata. Voglio raccontare questa storia – conclude – perché mi reputo una miracolata, non sono morta solo per puro caso, non voglio che nessuna altra donna possa vivere la mia esperienza, che mi ha segnato la vita».
A chiedere l’invio degli ispettori all’ospedale di Modica sono stati sia il deputato nazionale Nino Minardo che quello regionale Giorgio Assenza. E il ministero della Salute si sarebbe mosso per avviare l’iter. Tuttavia, il direttore generale dell’Asp iblea, Maurizio Aricò sostiene di «non aver ricevuto alcuna informazione ufficiale in tal senso» e preferisce non aggiungere altro.
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