Orlando gregario di Di Pietro: che tristezza!

Qual è il tuo duol? Quale il tuo cruccio?

L’altro giorno, non senza qualche sorpresa, abbiamo notato in Tv ‘u sinnacu. Sì, perché lui è l’ultimo di cui abbiamo una qualche memoria, seppur siano passati dieci anni. Era lì in formato sedici noni, con il suo bel faccione rotondo, presentatosi in sala stampa di Palazzo Giustiniani, reduce dall’incontro con il Presidente del Consiglio dei ministri incaricato: era Leoluca Orlando, detto Luca, sindaco di Palermo per antonomasia.

In verità, non ci siamo poi sorpresi più di tanto, visto che abbiamo intravisto in quelle stesse ore sfilare anche altri siciliani come Alfano, la Finocchiaro, Miccichè, Pippo Gianni, financo il Vizzini – ultimo dei Mohicani – in versione socialista.

Orlando era lì, al fianco destro del suo lìder maxismo, il “che c’azzecca Di Pietro”, che alla sinistra teneva i capigruppo Massimo Donadi e Felice Belisario.

Beh, che c’è di strano, direte voi, “è il portavoce dell’Italia dei Valori”! Certo, un incarico un po’ ingrato in un partito leaderistico come l’Idv, dove è il solo Di Pietro a esternare a tutte le ore. Ancor più ingrato per chi come lui era abituato a essere il “vate” del sua creatura retina.

Ed era una scena degna della miglior tradizione del teatro comico, con il caratterista e la spalla. A parlare con i giornalisti dell’esito del colloquio con Monti era Di Pietro, nel suo approssimativo ma efficace italiano. In silenzio Orlando seppur, oltre a un perfetto italiano, parla anche un fluente tedesco. Ma il suo viso rubicondo, cui l’età ha dato delle profonde rughe d’espressione, si trasformava secondo dopo secondo in una maschera della commedia dell’arte. Si sforzava a fatica a star muto, facendo prima ampie espressioni con gli occhi e poi anche grandi cenni con il capo, affermativi o meno a seconda delle risposte di Di Pietro. In qualche caso anticipava con cenni negativi che si trasformavano in assensi se le risposte del capo non erano nella direzione da lui auspicata.

Insomma, noi che non avevamo avuto negli anni gran simpatia per il suo fare un po’ guitto, per il suo misticismo laicista da monatto, abbiamo tifato per lui. “Ora sbotta, ora sbotta”, pensavamo, ma alla fine la ragione ha prevalso sull’emozione ed è rimasto in silenzio fino alla fine.

E c’è da capirlo, poverino! Il padre della “primavera”, il tre volte sindaco di Palermo, e per 15 anni, il fondatore e segretario de La Rete, e il parlamentare regionale, nazionale ed europeo, la Giovanna D’Arco dell’Antimafia che attaccava Giovanni Falcone perché teneva i documenti chiusi nei cassetti, l’uomo che dava del tu al presidente Clinton, ridotto da cinque anni a militare come gregario in quel partito personalistico che è l’Italia dei Valori.

E allora un’opera buona fatela palermitani: riportatelo tra i vicoli della Vucciria e alle primarie per il sindaco di Palermo tra un demagogo con un passato importante e una farmacista con un cognome importante, votate, così come diceva Cossiga, Leoluca Orlando Cascio.

 

Aristofane III

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