Nomi vecchi, nomi emergenti e nomi nuovi, anche di insospettabili, tra i 62 arrestati a Palermo e in provincia dai carabinieri del Ros e del Gruppo di Monreale. Una vasta operazione antimafia Brasca-Quattro.Zero, volta a ricostruire i movimenti di Cosa nostra nel Palermitano, condotta dai carabinieri dalle prime luci dell’alba nei mandamenti di Villagrazia-Santa Maria di Gesù e San Giuseppe Jato.
Un’indagine lunga, che parte dal 2013, sulla scorta di un’altra, Nuovo Mandamento, che allora impedì la ricostruzione territoriale della mafia. Due diramazioni di Cosa nostra in grado di spartirsi importanti fette di territorio. Due parallele manovre investigative che si sono intrecciate in occasione della riorganizzazione del clan di San Giuseppe Jato e della dipendente famiglia di Altofonte.
Nomi vecchi si diceva come chi, secondo gli investigatori, ha assunto un ruolo di spicco: Mario Marchese, 77 anni e Gregorio Agrigento, che di anni ne ha 81. E regole vecchie. In particolare dall’indagine dei Ros emergono le norme ferree che vigevano tra gli esponenti delle famiglie di Villagrazia come la rigida osservanza del divieto di rivelare l’appartenenza al clan, il sostegno nei confronti dei reclusi e i requisiti morali che dovevano avere gli affiliati. Le indagini rivelano anche che gli arrestati parlavano di proprietà da che potrebbero fare riferimento al tesoro di Stefano Bontate. In particolare ci sarebbero terreni e immobili al centro di un duello acceso nel quale, secondo le intercettazioni, spunta anche il nome di Vincenzo Bontà, genero di Giovanni Bontate, ucciso recentemente insieme a un’altra persona a Falsomiele.
Un’inchiesta che avrebbe svelato anche diversi rapporti tra mafia e il mondo dell’imprenditoria. «Da queste indagini viene fuori un particolare rapporto tra la mafia e gli imprenditori, alcuni dei quali denunciano mentre altri non denunciano. Abbiamo visto che in una determinata area alcuni si sono convinti a collaborare», ha detto il Procuratore capo di Palermo Francesco Lo Voi, in conferenza stampa. Da qui i sequestri beni, imprese e società riconducibili in parte all’associazione mafiosa ed in parte ai singoli indagati.
«Purtroppo, come emerge anche da queste indagini, la popolazione accetta con inerzia la presenza di Cosa nostra in alcune zone del palermitano», afferma il Procuratore aggiunto di Palermo, Leonardo Agueci. «In alcune zone, come quella di Villagrazia – dice ancora Agueci – il controllo di Cosa nostra è ancora presente, pervasivo. Ancora una volta sono i vecchi che mantengono il controllo della situazione, che hanno modo di regolare con antichi sistemi i contrasti che possono sorgere tra loro».
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