Ong, Procuratore di Trapani riferisce sull’indagine «Non coinvolte organizzazioni, ma persone fisiche»

Due accuse specifiche: «Ci risulta che le Ong hanno fatto qualche intervento di salvataggio in mare anche senza informare la nostra Guardia costiera». E ancora: «La procura di Trapani ha in corso indagini sull’ipotesi di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina che coinvolgono non le Ong come tali ma persone fisiche appartenenti alle Ong». E un ragionamento a più ampio raggio sul ruolo delle organizzazioni non governative nel Canale di Sicilia. È stato questo il focus dell’intervento del procuratore capo di Trapani, Ambrogio Cartosio, in audizione alla commissione Difesa del Senato. La stessa che, pochi giorni fa, ha ascoltato anche il collega di Catania, Carmelo Zuccaro. 

Il numero uno della Procura di Trapani, che ha aperto un’indagine sul comportamento di alcune Ong, prova a spiegare gli elementi in suo possesso: «Allo stato delle nostre acquisizioni – dice – registriamo casi in cui soggetti a bordo delle navi delle Ong sono evidentemente al corrente del luogo e del momento in cui si troveranno le imbarcazioni di migranti: evidentemente ne sono al corrente da prima e questo pone un problema relativo alla regolarità di questo intervento. La presenza di navi delle Ong in un determinato fazzoletto di mare – aggiunge – sicuramente costituisce un elemento indiziario forte per dire che sono al corrente del fatto che in quel tratto di mare arriveranno imbarcazioni, ma questo da solo non è sufficiente per incriminare qualcuno con il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Il dato, unitamente ad altri dati indiziari, potrebbe costituire il compendio indiziario per supporre la partecipazione al reato». Cartosio, in ogni caso, dice che «non risultano contatti telefonici diretti tra persone in Libia e le Ong». 

È legittimo intervenire senza l’ordine della Guardia costiera o dentro le acque territoriali libiche, fattori che sarebbero stati accertati, secondo quanto dichiarato da Cartosio? «Sul piano penale – risponde il procuratore – si pone il problema dei limiti dello stato di necessità e, soprattutto delle valutazioni dei giudici. Se per stato necessità si intende la situazione di chi sta annegando è un conto, se invece per stato di necessità si intende la situazione di chi si trova in un campo di concentramento libico in cui ci sono trafficanti che tengono sotto la minaccia delle armi persone che vengono violentate e torturate, è un altro conto e copre anche l’intervento delle Ong».

E per rafforzare ancora di più il concetto, il procuratore di Trapani sottolinea che «è sempre legittimo intervenire in mare per salvare vite in pericolo. L’articolo 54 del codice penale – ricorda – prevede la causa di giustificazione dello stato di necessità. Se cioè la nave di una Ong, o un mercantile o un mezzo della Marina militare o un peschereccio, viene messo al corrente del fatto che c’è un’imbarcazione con a bordo persone che rischiano l’annegamento, questa imbarcazione deve essere soccorsa, indipendentemente da dove si trova e questo principio travolge tutto, norme sancite da carte solenni e leggi varie. Se viene commesso un reato non è punibile perché commesso al fine di salvare la vita umana. Se l’intervento è fatto nei confronti di persone che corrono pericolo di vita, siamo quindi in stato di necessità e concordo al 100 per cento con l’azione della Ong che salva la vita. Sul piano tecnico-giuridico è un intervento legittimo».

Netto il giudizio rispetto all’accusa di finanziamenti da parte di trafficanti di migranti ad alcune Ong. «Allo stato delle nostre indagini escludo che ci siano elementi per poter dire che i finanziamenti possano essere di origine illecita ed escludo anche che gli interventi di soccorso delle organizzazioni abbiano finalità diverse da quello umanitarie». Cartosio cita invece un caso specifico per denunciare il ruolo della Guardia costiera libica nel traffico di migranti. «Nelle settimane scorse – racconta – alcuni migranti algerini sbarcati a Trapani hanno dichiarato che la partenza dalle coste libiche è avvenuta con l’ausilio di un gommone e soggetti con la scritta polizia sulle spalle che hanno scortato il natante in mare aperto. Durante la navigazione è intervenuta un’imbarcazione della guardia costiera libica e un soggetto ha sparato in aria e ha cominciato a discutere: c’era una questione di richiesta di denaro per far proseguire il viaggio. C’è uno scenario in cui gli attori aumentano e ci sono casi di soggetti corrotti appartenenti a forze dell’ordine libiche per i quali è ipotizzabile il reato di concussione, ma sul quale noi non siamo assolutamente competenti».

Secondo il collega di Catania Zuccaro per contrastare più efficacemente anche questi comportamenti, sarebbe necessario far salire unità di polizia giudiziaria su tutte le navi che compiono azioni di salvataggio, comprese quindi quelle delle Ong. Concetto ribadito anche ieri in commissione Antimafia. Ma per il procuratore di Trapani questa novità sarebbe di difficile attuazione. «Potrebbe avere risvolti positivi – commenta – ma mi rendo conto anche che le necessità delle Ong sono molto diverse e oggettivamente contrapposte a quelle di tipo giudiziario e poliziesco. Le Ong per esempio hanno bisogno di operare in acque internazionali, in zone che appartengono a Stati diversi, che hanno legislazioni molto diverse. Il reato di traffico di stupefacenti, ad esempio, esiste in Italia ma non in altri Paesi, come anche lo stesso reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Le organizzazioni hanno necessità di operare svincolate dalle pastoie legislative degli Stati. È un problema difficile da risolvere, soluzioni facili non ne esistono». 

E infine una conferma degli appetiti della criminalità organizzata nella gestione dell’accoglienza dei migranti in Sicilia. «Nel corso di alcune indagini sono emersi fatti inquietanti e cioè che soggetti imparentati o contigui ad organizzazioni mafiose erano inseriti nel business dell’accoglienza e mi risulta che autorizzazioni siano state revocate per questo motivo». 

Salvo Catalano

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