Ong, anche Mare Jonio è tornata nel Mediterraneo Casarini: «Nostro lavoro dovrebbero farlo i governi»

Ore 21,30, la Mare Jonio di Mediterranea Save Humans molla gli ormeggi. Dopo nove mesi l’imbarcazione della ong italiana torna in missione nelle acque del Mediterraneo. L’imbarcazione ha effettuato una breve sosta tecnica nel porto di Trapani da dove ieri sera è partita. Raggiungerà la Sea Watch3 in zona Sar a Nord della Libia. Undici gli uomini di equipaggio: tutti italiani a eccezione di un giovane greco. E mentre a bordo ferveveno i preparativi, MeridioNews ha intervistato con il capo missione Luca Casarini

Casarini, con che spirito e obiettivi tornate in mare?
«Ritorniamo a fare questo pattugliamento del Mediterraneo e, se il caso lo richiede, interventi di soccorso perché durante tutti questi mesi di pandemia non si sono fermati gli orrori in Libia per migliaia di donne, uomini e bambini. Non si è fermata la carneficina a cui assistiamo da anni, cioè lasciar morire persone che chiedono soccorso oppure lasciare che vengano riportati nell’inferno libico da cui tentano di scappare». 

C’è chi sostiene che far sì che tornino sulla terraferma sia un aiuto adeguato.
«Ricordo che la Libia è un Paese in guerra. Ci sono i bombardamenti, ci sono gli sfollati dalle città. È una situazione da cui uno è ovvio che tenti di scappare. Sarebbe normale pensare al rispetto oltre che della convenzione di Amburgo, quando si è in mare, ed anche a quella di Ginevra. Sono profughi di guerra queste persone». 

Per mesi le Ong sono rimaste bloccate in porto e gli sbarchi non si sono fermati. Un dato che smonta la teoria secondo cui le navi di soccorso attraggono i trafficanti?
«Le persone scappano dall’orrore, non aspettano di sapere chi c’è in mare. Tentano di salvarsi la vita e salvarla ai propri figli. Noi quando abbiamo effettuato i soccorsi nel Mediterraneo abbiamo avuto a che fare con persone torturate, donne stuprate con bambini nati da quegli stupri e chiusi dentro dei centri di detenzione. È evidente che qualsiasi sia la situazione in mare, queste persone provano a scappare, perché scappano dalla morte, provano ad avere un’altra possibilità». 

Lo sfruttamento da parte dei trafficanti di uomini però è un dato di fatto.
«Visto che questo attuale sistema con cui ci confrontiamo non offre alcun canale legale di ingresso, è evidente che questo poi si favorisce le mafie dei trafficanti che più i migranti vengono respinti e più guadagnano. Tutto ciò è un’assurdità». 

A fronte del nuovo impegno delle ong, ci sono Paesi – come nel caso di Italia e Malta – che proseguono nella loro linea dura.
«Non dovremmo fare noi questo lavoro. Questo fenomeno ha una tale importanza che non può essere affidato alla società civile. Dovrebbero farsene carico i governi, l’Unione Europea, spetta a loro rendere sicuro il mar Mediterraneo. Parliamo di una crisi umanitaria che si sviluppa a poche centinaia di chilometri dalle nostre coste ed è provocata da questa delega data alle milizie libiche del controllo delle frontiere. I governi pagano fior di milioni di euro questi miliziani collusi con i trafficanti perché blocchino i migranti». 

Negli anni passati l’Italia ha anche regalato le motovedette alla guardia costiera libica.
«Le stesse motovedette che poi catturano e riportano nell’inferno chi cerca di fuggire. Tutta questa storia è fatta di paradossi. Noi non dovremmo esistere». 

In queste settimane a Lampedusa il tema dei migranti si è intrecciato con il Covid. Si sono anche registrati due gravi episodi: lo sfregio della Porta d’Europa e il rogo che ha distrutto i barconi.
«Secondo il mio punto di vista si tratta di un piccolo gruppo organizzato che soffia sul fuoco. Lampedusa da anni è abbandonata da anni a se stessa, viene utilizzata come una sorta di palcoscenico dove spettacolarizzare qualsiasi cosa. Il problema è che se i governi intervenissero davvero per aiutare la popolazione, costruirebbero più consultori, permetterebbero che ci fossero degli ospedali che funzionano – tanto a Linosa, quanto a Lampedusa – e assisterebbero la popolazione in tutte le maniere. Non permetterebbero che l’isola si riempia di migranti, ma li trasferirebbero immediatamente in posti più adeguati. 

Per tanto tempo l’isola è stata indicata come simbolo dell’accoglienza. I tempi sono cambiati?
«I lampedusani, nel corso degli anni, hanno accolto migliaia di persone. Io vedo questi episodi come un tentativo di modificare la storia dell’Isola trasformandola in una specie di avamposto del razzismo».

Pamela Giacomarro

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