«Ricorsi rigettati». Una lettura fredda e impassibile per confermare quanto già sentenziato in due gradi di giudizio. Vincenzo Aiello, ritenuto al vertice della famiglia Santapaola-Ercolano in provincia di Catania, è stato condannato in via definitiva all’ergastolo. A deciderlo sono stati i giudici ermellini della prima sezione della corte di Cassazione, presieduta da Patrizia Mazzei. Il boss, ex cassiere di Cosa nostra catanese specializzato nell’intrattenere rapporti con gli imprenditori, si trova detenuto da sette anni al regime del carcere duro, prima a Parma e adesso nel penitenziario di Sassari. L’altro imputato, il lavagista di Palagonia, Salvatore Dibennardo, è stato ritenuto colpevole di favoreggiamento e condannato in modo definitivo a 3 anni e 4 mesi.
Al centro della vicenda giudiziaria c’è l’omicidio di Angelo Santapaola e Nicola Sedici. Duplice delitto consumato nel settembre 2007 all’interno di un macello abbandonato in contrada Melissina, nella zona industriale di Catania. I corpi dei due uomini vennero ritrovati carbonizzati qualche giorno dopo all’interno di un casolare diroccato nelle campagne di Ramacca. Avvolti dentro sacchi di plastica neri, che con il calore delle fiamme si era sciolta rendendo le vittime del tutto irriconoscibili. Dopo l’uccisione, entra in scena Salvatore Dibennardo, parente del boss Alfonso Fiammetta, reo di essersi occupato di pulire l’automobile con cui quel giorno i corpi vennero trasportati da Catania al territorio calatino.
Santapaola e Sedici non sono stati due morti qualunque della mafia. Il primo era imparentato con il capo di Cosa nostra Benedetto Santapaola e, all’epoca dei fatti, occupava il ruolo di reggente della famiglia mafiosa, l’altro era invece il suo uomo di fiducia. Un delitto eccellente che segnerà una svolta negli equilibri della mafia alle pendici dell’Etna e che ha come genesi alcune controversie tutte interne all’organizzazione. Santapaola, personaggio irruente e accentratore, avrebbe ecceduto nell’autonomia gestionale diventando sempre più scomodo e, per questo, sarebbe stato destinato a morire. Così l’occasione per farlo fuori diventa un summit, mancato, con i rappresentati della mafia palermitana Salvatore e Sandro Lo Piccolo. Entrambi boss del mandamento di San Lorenzo, con l’ambizione di ricostruire la cupola ideata da Totò Riina, all’epoca in cerca di interlocutori alle pendici dell’Etna. I due però quel giorno a Catania non si presentano, spianando inconsapevolmente la strada al progetto di morte. Aiello, difeso in Cassazione dall’avvocato Maurizio Punturieri, finisce così condannato per concorso morale in omicidio, distruzione e occultamento di cadavere.
Mente e mano del duplice agguato però, stando ai racconti del pentito chiave di questa storia, l’ex reggente militare Santo La Causa, non sarebbero stati né Aiello, né Dibennardo. La vicenda giudiziaria legata all’omicidio a questo punto si divide, con una seconda inchiesta sugli autori materiali. Tra gli indagati finiscono lo stesso La Causa ma anche il presunto killer, Orazio Magrì, e con loro Vincenzo Santapaola. Quest’ultimo, figlio di Benedetto, accusato da magistrati e collaboratori di giustizia di essere il capo ombra di Cosa nostra a Catania ma non solo. Sarebbe stato lui, secondo La Causa, a dare il via libera quel giorno per l’omicidio: «Sai chiddu ca fare comu veni Angelo», avrebbe detto ai suoi uomini più fidati.
L’indagine si arricchisce anche di un sopralluogo effettuato l’8 maggio 2013, durante il quale proprio La Causa, a distanza di un anno dal pentimento, conduce magistrati e investigatori sul luogo del delitto. Qui vengono ritrovati tre bossoli di una pistola calibro 9, delle tracce ematiche e un frammento osseo. Elementi comparabili a quelli recuperati nel casolare dove i corpi vennero ritrovati e identificati solo grazie alle fedi nuziali lasciate dai killer alle vittime, con impresse le date delle nozze e i nomi delle consorti: Grazia Corra e Paola Crisafulli. Una storia che, da un lato, è arrivata ai titoli di coda ma che ancora cela molte ombre e con un fascicolo – quello riguardante gli esecutori materiali, che, come confermato in passato dal procuratore capo Carmelo Zuccaro in un approfondimento esclusivo realizzato da MeridioNews – è rimasto fermo al palo in attesa di ulteriori riscontri.
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