Una coppia uccisa a colpi di pistola nel novembre del 1994. E i corpi trovati bruciati all’interno di un furgoncino Fiat Fiorino sul lungomare di Villagrazia di Carini. Si avvia verso le battute finali un processo iniziato sette anni fa e che vede come unico imputato Natale Romano Monachelli, accusato del duplice omicidio del fratello Filippo e della cognata Elena Lucchese. La vicenda, ancora senza un colpevole, è stata archiviata nelle primissime fasi, quando ancora le indagini si svolgevano nei confronti di ignoti. Si dovrà aspettare il 2001 perché ci sia un vero e proprio iter processuale, innescato dalle dichiarazioni dell’ex moglie dell’imputato, Erika Stjernquist, che lo accusa del delitto. Solo da quel momento Natale Romano Monachelli viene iscritto nel registro degli indagati, ma la parabola giudiziaria durerà poco, a causa delle ritrattazioni della donna.
È il 2009 quando Natale Romano Monachelli viene nuovamente indagato: questa volta a parlare di un suo ipotetico coinvolgimento nell’omicidio del ’94 è il collaboratore di giustizia Angelo Fontana, che si pente nel 2006 e lo tira in ballo in occasione del processo per l’omicidio di Giovanni Bonanno, reggente del mandamento mafioso di Resuttana. Proprio quest’ultimo gli avrebbe confidato di avere aiutato un giovane di nome Natale a occultare i corpi del fratello e della cognata. Nonostante questo e altri racconti di diversi collaboratori di giustizia, il duplice omicidio non è un delitto di mafia. Eppure la mafia qualcosa c’entra. Per capirlo occorre fare un passo indietro e tornare al 1985, quando Natale Romano Monachelli – insieme al fratello Filippo e alla madre, Giovanna Vitale – viene arrestato per traffico di stupefacenti.
Un business che li vede impegnati soprattutto nella zona di Borgo Vecchio e che ha sempre fatto presumere agli inquirenti la vicinanza e il tacito permesso da parte degli esponenti mafiosi attivi nel quartiere. Il ruolo dei pentiti, poi, è uno dei perni dell’intero processo e si lega all’incontro del 1995 con l’imputato in via dei Cantieri raccontato sia da Angelo Fontana che dal collaboratore Vito Galatolo, ma in modi differenti. Il primo riferisce al pm Giuseppe Fici di averlo incontrato passando da quella via: un incontro breve, durante il quale Romano Monachelli avrebbe rivelato ai due di avere ricevuto da Giovanni Bonanno il mandato di uccidere Mimmo Pipitone, figlio del boss dell’Arenella. Un modo per vendicarsi di un altro assassinio: quello del padre dell’imputato, Cesare Romano Monachelli, avvenuto nel 1973 e per il quale viene arrestato Giovanni Pitarresi, capo della famiglia mafiosa di Bolognetta. Poi rilasciato dopo un paio d’anni a causa dell’omicidio, a processo in corso, dell’unico testimone che lo accusava.
A questa presunta confessione di Romano Monachelli, secondo il racconto di Angelo Fontana ne sarebbe seguita un’altra ben più clamorosa: il coinvolgimento dello stesso imputato nel duplice omicidio del fratello e della cognata nel 1994. «Se questo incontro fosse davvero avvenuto – dice il legale Angelo Barone – quale sarebbe il nesso fra le due rivelazioni? Nessuno». Quando molti anni dopo si pente anche Vito Galatolo, storico boss del quartiere Acquasanta, il racconto riporta gli stessi particolari e identiche rivelazioni, ma sparisce la presenza di Angelo Fontana, di cui non si fa menzione.
Mentre l’impianto accusatorio ruota in maniera consistente attorno a quanto affermato dai pentiti, al contrario la strategia della difesa punta a farne emergere l’inattendibilità: «Se davvero Angelo Fontana avesse sventato l’omicidio di Mimmo Pipitone, non si capisce perché non si sia preoccupato di intervenire anche contro il mandante di quel delitto, cioè Giovanni Bonanno – spiega in aula l’avvocato Barone -. Lo stesso che ha trascorso un periodo di detenzione nello stesso carcere coi Galatolo e i Pipitone senza che nessuno gli dicesse nulla in merito a questo episodio. Non è uno scenario verosimile e contribuisce a far credere che la scena di via dei Cantieri del ’95 sia stata inventata ad hoc per articolare l’accusa contro Natale Romano Monachelli».
L’imputato è stato assolto in primo grado, sentenza ribaltata in appello e divenuta una condanna a 24 anni, annullata però con rinvio dalla Cassazione. Dopo l’udienza di ieri, l’arringa della difesa proseguirà a gennaio durante il prossimo incontro, con l’intervento dell’avvocato Salvatore Pirrone. Il presidente della corte, Biagio Insacco, ha anticipato che si potrebbe arrivare alla sentenza pochi giorni dopo.
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