«Considerata la gravità del fatto e l’impatto mediatico, le ipotesi provenivano da ogni parte. Inoltre la vittima era una persona pubblica, con incarichi anche nel campo della politica e dell’università, abbiamo approfondito ogni spunto, anche i meno plausibili». Parla così il colonnello Francesco Gosciu, il primo teste dell’accusa a sedere sul banco di fronte alla prima sezione della Corte d’assise del tribunale di Palermo, di fronte alla quale si celebra il processo per l’omicidio dell’avvocato Enzo Fragalà. Quel 23 febbraio 2010 lui era comandante del nucleo investigativo del comando provinciale e la sera dell’aggressione fu uno di quelli che per primo arrivò sul posto, preceduto da una pattuglia del gruppo radiomobile. «Quando sono arrivato, l’avvocato era già stato trasferito in ospedale», ricorda il colonnello, che ricostruisce nei dettagli la dinamica di quella sera.
«Abbiamo iniziato subito a raccogliere tutti gli elementi di prova. Alcuni testimoni oculari furono individuati la sera stessa, furono i primi a farci una descrizione dell’accaduto e dell’aggressore». Emerge immediatamente la notizia dell’esistenza di un bastone. L’area attorno al luogo del delitto viene isolata e battuta a tappeto, «rastrellata» dalla via Turrisi in direzione di Porta Carini, sino alla via Volturno. I cassonetti di zona svuotati e controllati sino a notte inoltrata, alla ricerca – poi rivelatasi vana – dell’arma del delitto. «Si trattava di una persona alta e robusta». È così che lo descrivono i passanti che – chi più vicino, chi più lontano – è presente al momento dell’agguato al penalista. Dopo il racconto dei testimoni oculari, l’attenzione degli investigatori si concentra sulle immagini riprese dalle telecamere della zona. Inefficaci quelle del palazzo di giustizia, troppo distanti. Fondamentali, invece, quelle piazzate a sorveglianza di un negozio di grafica nella via dell’aggressione, Mail Boxes.
Sul banco dei testimoni, dopo Gosciu, siede il maggiore Maurizio Cappelletti, che analizza gli oltre 50 fotogrammi delle immagini immortalate quella sera, in un range temporale che va dalle 20.38 – orario in cui si colloca l’uscita dell’avvocato Fragalà dal palazzo in cui ha lo studio, ai minuti precedenti alle ore 21. «Ricordo che quella sera c’era maltempo: il vento era forte e dopo un po’ iniziò anche a piovere. Per questo ho sollecitato i rilievi della scientifica, che furono effettuati in tempo». Anche il maggiore raccoglie le primissime descrizioni dell’aggressore: «Robusto e alto, intorno al metro e ottanta, indossava un giubbotto e un casco, entrambi neri». E poi c’è quel bastone. La sera dell’agguato si investiga su quella che presumibilmente potrebbe essere la direzione di fuga di aggressore e complici. Ma nei giorni successivi i controlli si ampliano anche in altre direzioni, dalle vie Goethe e Papireto, che però non si protraggono sino a Borgo Vecchio, quartiere di appartenenza dei sei imputati, che l’accusa presume possano aver agito per mandato di Cosa nostra: Paolo Cocco, Francesco Arcuri, Antonino Abate, Salvatore Ingrassia, Antonino Siragusa e Francesco Castronovo.
La prossima udienza si svolgerà a ottobre, il giudice scioglierà la riserva sulla richiesta dell’avvocato Debora Speciale, difensore di Francesco Castronovo, sull’acquisizione delle intercettazioni dei colloqui avvenuti a ottobre 2015 nel carcere di Paliano tra il collaboratore Francesco Chiarello, il pentito che per primo ha fatto i nomi dei presunti responsabili del delitto Fragalà, e la moglie Rosalia Luisi. Conversazioni che, però, secondo la difesa ammontano a quattro, mentre sarebbero solo tre per le pm Francesca Mazzocco e Caterina Malagoli. Circostanza, questa, che potrà essere verificata solo nel corso della prossima udienza.
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