«Un’estate strana, fatta di siccità e piogge». L’annata 2018 dell’olio extra vergine d’oliva siciliano deve fare i conti con i mesi appena trascorsi che rischiano di condizionarne il bilancio. Nell’Isola si registra un calo medio della produzione del 30 per cento rispetto allo scorso anno, quando però c’era stato un exploit. «Si può dire – spiega Sebastiano Giaquinta, rappresentante Coldiretti e produttore ragusano di Chiaramonte Gulfi, patria del Dop Monti Iblei, uno degli otto di origine protetta siciliani – che siamo tornati ai livelli degli anni precedenti». Ma a preoccupare gli olivicoltori non è soltanto la quantità, ma piuttosto la presenza della fastidiosa mosca olearia che rischia di compromettere la qualità di una parte del raccolto. «Il livello di acidità è più alto – conferma Antonello Presti, dell’oleificio Gulino di Chiaramonte – significa che per separare le olive toccate dalla mosca da quelle intatte, necessarie per ottenere un Dop, serve una selezione più accurata con il conseguente aumento dei costi». Che così lievitano mediamente di circa il 20 per cento per le produzioni d’eccellenza.
La Sicilia è la terza regione d’Italia per produzione di olio d’oliva. Nel 2017 l’Isola ha prodotto poco più di 52mila tonnellate, meglio hanno fatto la Calabria con 71mila e la Puglia con 205mila. Ma le previsioni per il 2018 sono nere soprattutto per le Regioni del Mezzogiorno. Secondo Coldiretti, in Sicilia il calo dovrebbe essere del 25 per cento (sotto le 40mila tonnellate). Ci sarà meno olio italiano dunque e maggiore necessità di importarlo da altri Paesi. «In Italia – fa i conti Giovanni Selvaggi, presidente dì Confagricoltura Catania e numero uno regionale della sezione olivicola – consumiamo il 40 per cento di olio in più rispetto a tutto quello che produciamo. Fino a quando non si riuscirà a colmare questo gap, comprare olio dall’estero rimarrà un bisogno». Negli ultimi sei anni la produzione siciliana ha registrato alti e bassi: con un picco negativo nel 2016 di appena 13mila tonnellate e un massimo lo scorso anno di oltre 52mila. «La domanda c’è ed è in crescita – continua Selvaggi -. Servirebbe un serio piano di sviluppo agricolo da parte del ministero che incentivi giovani e imprese a dotarsi di nuovi impianti».
Intanto chi punta alle produzioni di qualità ha avviato la raccolta a fine settembre, quando la resa è inferiore (quest’anno ancora di più: il 6-7 per cento su un chilo di olive) ma i sentori sono più gradevoli. «Per chi raccoglie dopo il 20 ottobre, quando le olive sono molto mature – spiega Giaquinta – è difficile fare un prodotto di qualità». La differenza si vede poi nei prezzi. Se per un litro di olio Dop Monti iblei pagato al frantoio oggi ci vogliono mediamente tra gli 8,50 e i 10 euro, il prezzo scenderà di qualche euro per gli oli meno pregiati. Ma non troppo. «Attenzione – mette in guardia Presti – mi hanno segnalato che su Facebook girano annunci di olio extravergine siciliano prodotto nel 2018 venduto a cinque euro a litro. Posso dire con certezza che è una truffa. Un olio cento per cento siciliano, a maggior ragione quest’anno con le difficoltà descritte, non può scendere sotto i sette euro». Tanto sarebbe infatti il prezzo degli oli della zona dell’Agrigentino, dove tradizionalmente in media il costo si mantiene più basso rispetto a quelli del Sud-Est.
Per chi punta sulla qualità i mercati di destinazione migliori restano ancora quelli esteri. «In Italia – riflette Presti – conta solo il prezzo. In altri Paesi c’è maggiore attenzione a quello che si compra». Di conseguenza il produttore di Chiaramonte Gulfi destina il suo olio in Giappone, Canada, paesi del Nord Europa e, da quest’anno anche Stati Uniti, dove un litro di Dop Monti Iblei arriva a costare al dettaglio tra i 28 e i 30 dollari al litro. «Dobbiamo fare squadra – conclude Giovanni Selvaggi – l’obiettivo è far conoscere il nostro olio in quei Paesi dove la dieta mediterranea non è ancora molto conosciuta».
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