Obama riceve Monti alla Casa Bianca

Domani il capo del governo italiano, Mario Monti, sarà ricevuto da Barack Obama alla Casa Bianca. Andremo a Washington a verificare come il premier verrà accolto, già sicuri in realtà che il Presidente mostrerà grande calore nei confronti del Professore, a differenza di quel che accadde con Silvio Berlusconi. Non c’era bisogno di leggere i cables del Dipartimento di Stato svelati in rete Wikileaks per sapere che ad Obama il governo Berlusconi non andava proprio giù. E qui non è una questione di ’destra’ e ’sinistra’, liberal americani contro conservatori italiani.

Se certi vizietti personali del premier con minorenni o ’nipoti di Mubarak’ non aiutavano, non erano ’rumors’ di questo genere a innervosire Washington, ma ben altri atteggiamenti di Palazzo Chigi.
Nel momento in cui Barack Obama entrava alla Casa Bianca sapeva già benissimo che il problema che più l’avrebbe assillato per la durata del primo mandato sarebbe stata la grande crisi finanziaria ed economica esplosa mesi prima, e che gli Stati Uniti avrebbero avuto bisogno di una grande intesa e di coordinamento sulle politiche di intervento soprattutto con l’Europa. Ma proprio il governo di Berlusconi, tra tutti quelli più importanti dell’Ue, restava stucchevolmente ancorato al suo ’negazionismo’, ostinandosi a ripetere che tutto fosse sotto controllo, che l’economia italiana sarebbe rimasta ’immune’ dalla catastrofe finanziaria.
Così quando lo scorso autunno il mercato era sul punto di far crollare in pochi mesi l’Italia – e con lei l’Europa intera – la svolta voluta da Giorgio Napolitano, con le dimissioni di Berlusconi e l’entrata in scena di Monti, devono aver fatto fare salti di gioia a molti consiglieri del Presidente nell’ufficio ovale. La promozione a Ministro degli Esteri voluta dal duo Napolitano-Monti dell’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, poi, rappresentava il sigillo a un messaggio di rassicurazione che Roma finalmente inviava a Washington.

Il Monti che arriva alla Casa Bianca incasserà certo tanti complimenti da Obama per aver salvato l’Italia e l’Europa dal burrone. Ma, allo stesso tempo, i consiglieri del presidente avranno preparato delle note sulle maggiori difficoltà che il governo Monti dovrà ancora affrontare. E ad un certo punto forse lo stesso professore cercherà di spiegare al Presidente americano quant’è dura per il suo governo far accettare agli italiani riforme sul posto fisso e sull’articolo 18, oltre al braccio di ferro sulle liberalizzazioni: fino all’ultimo, le innumerevoli corporazioni italiane verranno difese a dover da qualche partito che, dopotutto, potrebbe sempre ’staccare la spina’ al Professore.
Bene, oltre a congratularsi con Monti per essere riuscito in extremis a rassicurare i mercati, Obama potrebbe dare ora anche qualche consiglio. Dovrebbe, per esempio, dirgli che l’articolo 18 o il cosiddetto ’posto fisso’ non sono poi così ’tremendi’, anzi non sono i diritti dei lavoratori che tengono lontani gli investitori stranieri dall’Italia. Semmai Obama potrebbe suggerire a Monti come informare i cittadini italiani che a scoraggiare gli investimenti nel Bel Paese è la constatazione che in Italia la Giustizia è ormai a pezzi, lo Stato di diritto è in coma e i procedimenti durano cinque volte di più che la media in Europa, e con l’incertezza diffusa del diritto è ovvio che l’Italia diventi un rischio troppo grande per qualunque business.
Per far crescere l’economia, facendo riprendere gli investimenti anche dall’estero, non servirà togliere i diritti acquisiti dai lavoratori. La manodopera italiana non guadagna nemmeno sopra la media Ue, semmai é il contrario. Smetta dunque il Premier di fissarsi sull’articolo 18, che non è il “non poter licenziare” a scoraggiare gli investitori. Glielo dica Obama: c’è ben altro.
A chi scrive, capitò nella primavera del 2008, di assistere alla Casa Italiana della New York University ad una conferenza dell’allora ambasciatore americano a Roma, Ronald Spogli, che in maniera schietta e il più possibile chiara, cercava di spiegare al pubblico di italiani e americani che tengono al futuro dell’Italia, perché il nostro rimaneva il Paese che attraeva meno investimenti americani di tutta l’Unione europea. Spogli non usò il linguaggio del diplomatico, ma quello più diretto dell’uomo d’affari che, caso più unico che raro, in questo caso aveva anche una conoscenza profonda della storia italiana.
Spogli da giovane era stato infatti un collega d’università di George W. Bush ad Harvard, ma prima ancora aveva frequentato la Stanford University, e la sua passione per l’Italia lo aveva portato, alla fine degli anni Sessanta, a fare ricerche nel Bel Paese, allora sconvolto dai primi fuochi degli anni di piombo. Così, per Bush, Spogli non era solo l’ex compagno d’università tanto bravo a far soldi da meritare la ricompensa con un po’ di dolce vita romana, ma era soprattutto anche un raro ‘italianist’ dall’approfondita conoscenza della lingua, della cultura e dei problemi dell’Italia.
Anche per questo l’analisi dell’ambasciatore Spogli fu precisa: “Gli italiani sono seriamente preoccupati di non poter passare ai figli lo standard di vita di cui hanno goduto per tanti anni”. Dato che il miracolo economico degli anni precedenti è solo un ricordo, “qualcosa deve cambiare per rilanciare l’economia e ridare, specialmente ai giovani, ottimismo sul futuro”.

È sui giovani che l’Italia si gioca tutto perché, come ci ricordava Spogli, quando i giovani sono ottimisti, la loro carica si trasferisce sulla società, ma in Italia ciò non succedeva più. Così Spogli alla New York University citava nel 2008 uno studio in cui si veniva a sapere che se il 70 per cento degli studenti universitari americani riteneva che il futuro dipendeva da fattori che rientravano nel loro controllo, mentre in Italia la percentuale era esattamente ribaltata, cioè il 70 per cento dei giovani era convinto del contrario, che il loro futuro non dipendeva da loro ma da fattori incontrollabili: “Qualcosa deve cambiare perché ogni crescita economica è legata all’ottimismo dei giovani”.
Quando il direttore della Casa Italiana, Stefano Albertini, chiese all’ambasciatore americano cosa l’Italia avrebbe dovuto imparare dagli Usa, ecco la risposta secca di Spogli: “La meritocrazia. In Italia si deve tornare ad un sistema dove le capacità di competere siano premiate. Parlo soprattutto nelle università e non solo per quanto riguarda gli studenti, ma anche i docenti.”
Io chiesi invece a Spogli cosa rendesse l’Italia ancora così poco attraente: forse una politica troppo sprecona e troppo distratta dai propri affari? Forse la minaccia rappresentata della criminalità organizzata? Una Giustizia così disastrata da essere un fattore di alto rischio per il business? Ecco cosa rispose allora l’ambasciatore Spogli:

“Mi verrebbe da dire tutti questi motivi… Perché il capitale non arriva in Italia? Durante il fascismo circa il 70 per cento dell’economia del Paese era controllata dallo Stato. Fino ad oggi si è verificata in Italia una rivoluzione incompleta che avrebbe dovuto allontanare il Paese da quel sistema in cui lo Stato controllava tutti i mezzi di produzione. Manca ancora in Italia quella fiducia nel mercato. Noi negli Usa crediamo fermamente nel concetto di competizione. Questo non avviene in Italia e per questo pagate un prezzo. Così una serie di servizi non sono efficienti come dovrebbero perché non c’è il livello di competizione simile agli altri. Si deve dare l’opportunità di poter prendere dei rischi calcolati e non temere che il sistema diventi squilibrato e ingiusto. Ed ecco il fattore per il quale il business dei capitali americani non viene attratto dall’Italia, perché in qualche modo ci vede un mercato troppo opaco, dove le regole non sono le stesse per tutti. Questa è la ragione per cui manca un investimento dall’estero maggiore. Altrimenti non ci sarebbe ragione per cui certi capitali che vanno così numerosi in altri Paesi non vengano attratti anche dall’Italia. Ma occorre un sistema che appaia meno complicato e soprattutto dove le regole siano valide per tutti e allo stesso modo, invece di restare vantaggiose solo per coloro che sono già dentro quel sistema economico”.
Mercato meno opaco con regole uguali per tutti. Semplici consigli che Obama potrebbe avere anche per Monti: così tornando da Washington forse riuscirà a scordarsi dell’articolo 18.

Questo articolo è già stato pubblicato su su www.lindro.it

 

Stefano Vaccara

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