Un debito da dieci milioni di euro che rischia di far traballare ulteriormente i conti e gli equilibri già fragili del Comune di Catania. A sollecitare il pagamento della somma, tramite la lettera di un legale, sono alcuni creditori preoccupati dalla vicina scadenza per votare l’approvazione del bilancio di previsione 2015. Pena il dissesto dell’ente. Tra i nomi di chi batte cassa ne spicca uno, quello di Maria Antonietta Zeno, ex moglie del sindaco Enzo Bianco. I componenti di questo variegato gruppo – formato da cinque persone più un’intera famiglia – vantano, «per titoli giudiziari esecutivi» un credito di «circa dieci milioni di euro», spiega il loro avvocato nella comunicazione agli uffici comunali. Per «integrazione delle indennità espropriative» e «per espropriazioni fallite».
La richiesta è arrivata tre giorni fa sul tavolo dell’amministrazione etnea, assieme a una soluzione conciliatoria da parte degli stessi creditori. Escluso uno stralcio da 300mila euro, il gruppo ha avanzato la proposta di «spostare il pagamento di tale non indifferente importo dal bilancio 2015 al bilancio 2016 – si legge nella nota – prevedendo la liquidazione del dovuto a decorrere dal gennaio 2016 e nei successivi due bilanci». Ma sull’intera operazione incombono la necessità di trovare la copertura finanziaria e il voto favorevole dell’aula. Il tutto prima dell’approvazione del bilancio di previsione 2015, per il quale la Regione ha da pochi giorni nominato un commissario. Si tratta di Antonio Garofalo, anche lui tra i destinatari della lettera dei creditori, insieme al collegio dei Revisori dei conti e al consiglio comunale.
Il debito, inoltre, avrebbe potuto essere molto più consistente. «Solo grazie alle iniziative giudiziarie dei miei assistiti avanti alla commissione tributaria – spiega l’avvocato – il Comune di Catania è stato sgravato di circa 600mila euro di imposte connesse alle sentenze». Un’azione che, secondo il legale, dimostra «l’encomiabile senso civico» dei cittadini-creditori. Gli stessi che oggi però si dicono preoccupati di vedere «travolgere le legittime aspettative di quanti sono stati privati della proprietà dei propri beni».
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