«Avvicinati, si sente ancora l’odore del sudore dei disperati e del mare». Elia Li Gioi si aggira per la cattedrale di Noto, felice come un bambino. Artista, professore, sindaco di Avola durante la primavera siciliana del 1993. Davanti a lui c’è la croce che ha realizzato con pezzi di legno dei barconi rimasti sulle spiagge di quest’angolo di Sicilia: Scicli, Sampieri, Pozzallo, Marzamemi, Donnalucata, Avola, Augusta. «Noto è una diocesi di frontiera». Li Gioi ha raccolto i pezzi, li ha assemblati, aggiungendo solo schizzi di vernice rossa, «a ricordare il dolore, una spina nel fianco della nostra società». Il risultato è una grande croce che ieri è stata al centro della cerimonia di chiusura del giubileo nella cattedrale crollata nel 1996 e rinata undici anni dopo.
«È la croce dei poveri Cristi – spiega il professore, una vita spesa per l’impegno nel sociale – legni che diventano carne e sangue delle donne e degli uomini del nostro tempo. Questi pezzi raccontano il viaggio, non parlano ma danno emozioni». Non è la prima opera che Li Gioi realizza con i resti dei barconi che hanno solcato il Mediterraneo. Due anni fa le sue creazioni sono state esposte in una mostra dal titolo Dal dolore alla speranza. «Alcuni totem li ho donati alla cattedrale come reliquie – racconta – e anche il presidente della Repubblica Mattarella, durante la sua visita, si è fermato ad ascoltare la mia spiegazione».
La croce adesso non rimarrà a lungo nella cattedrale di Noto. «Vorremmo portarla in giro nei luoghi della diocesi dove ci sono stati sbarchi e spiegare il suo significato. Ma l’ipotesi finale – conclude Li Gioi – è che venga inviata a papa Francesco per la chiusura della porta santa a Roma, come simbolo di una chiesa che si fa cammino».
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