«Mio figlio è morto nel 2010, ma muore anche oggi». È, ancora una volta, un bilancio amaro quello di Claudio Zarcone, papà di Norman, il dottorando in Filosofia del linguaggio che il 13 settembre del 2010 si è gettato dal settimo piano dell’ex facoltà di Lettere. Cita Rino Gaetano, papà Zarcone: «Mio figlio muore ogni volta che un ragazzo viene frustrato, delegittimato, deluso. Muore quando muore un ragazzo come lui. Ogni volta che un ragazzo parte, emigra, muore Norman – dice – Perché Norman ha lanciato un messaggio che non è stato ascoltato, non c’è più nessuno, a parole all’inizio tutti amici ma poi sono scomparsi tutti: società civile, istituzioni, sono rimaste solo le foto».
Non si è riusciti in passato e non si riesce ancora oggi a fare di Norman e del suo messaggio un modello da seguire, un monito da tenere sempre lì, a cui guardare. «Sai perché? – domanda Claudio Zarcone – I ragazzi di oggi, fino a quando avranno 20 euro in tasca per mangiare una pizza e bersi una birra non si porranno il problema, sono disimpegnati, hanno creato la generazione Erasmus fatta sostanzialmente di fighetti intenti ad atteggiarsi parlando un’altra lingua, ma che sono disancorati da quella che è la coscienza di classe, l’economia, i problemi di oggi». È uno sfogo duro, quasi rassegnato quello di un padre che, ad oggi, si è convinto che la ribellione del figlio non sia stata capita, non sia arrivata a chi doveva arrivare.
«Poi arriva Renzi e parla di Jobs Act, di storytelling, toglie l’articolo 18, e trasforma lo Stato in un reality show. Di cosa sta parlando ai giovani? Tutele e garanzie? No, parla di voucher e alternanza scuola-lavoro, che non significa niente – insiste – Norman non si è ucciso perché non aveva un lavoro, non era nemmeno precario, era un dottorando senza borsa. I giovani vengono delegittimati e frustrati non perché non hanno un lavoro ma perché è morta in loro la speranza di averlo questo lavoro, che è diverso». Mancano le prospettive, non ci sono oggi e non ci sono nemmeno domani. «Hanno ucciso la speranza, non è la mancanza di un lavoro che ti fa morire, ma della speranza. E con quella muore la dignità, è consequenziale – continua Zarcone – Molti giovani al posto di Norman magari avrebbero rinunciato a tutto, compreso quella, pur di rimanere in quel dottorato, mentre lui ha fatto marameo a loro e anche alla morte».
Il tasto dolente, poi, ancora dopo sette anni è l’assenza dell’università e il mancato impegno, da parte dell’ente, di coltivare il messaggio di Norman con i nuovi studenti di quella stessa facoltà. «L’università è fuori dai radar, è inesistente, non fa niente e non gliene frega niente. Il ricordo di Norman lì non c’è più, si sono dileguati tutti». Quest’anno infatti, in occasione del settimo anno dalla scomparsa del giovane, non ci sarà la consueta fiaccolata all’interno della cittadella universitaria né alcun appuntamento allo Spazio Generazione Norman, a lui dedicato all’interno del Polididattico di viale delle Scienze.
Gli eventi in programma, infatti, prevedono il raduno alle 10.45 alla rotonda a lui intitolata a Brancaccio dove, in presenza del sindaco Leoluca Orlando, da sempre attento a questa triste ricorrenza e molto vicino alla famiglia del ragazzo, verrà osservato un minuto di silenzio e deposta una corona di fiori. Mentre in serata, a partire dalle 20, a piazza Bellini ci sarà il concerto rock Per Norman, contro la mafia dei colletti bianchi e gli omicidi di Stato: si esibiranno gli 80’s Version by Club 469, Elektra e in chiusura la Norman Zarcone Rock Orchestra, composta dal padre dello studente e dagli amici di una vita. «Anche per quest’anno i carnefici rimangono al loro posto, in cabina di regia – conclude Claudio Zarcone – L’università non dà ancora il dottorato alla memoria a mio figlio, che ormai era al terzo e ultimo anno. Far diventare Norman un simbolo sarebbe la loro rovina, loro sono per l’oblio, la tomba della memoria».
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