«Los migrantes no son criminales, son trabajadores internacionales». È un corteo che inevitabilmente parla lingue diverse quello che ieri, alle 16, è partito dal Porto di Catania a ritmo di musica e slogan per arrivare nella sede dell’associazione Gapa (Giovani assolutamente per agire), per un’assemblea pubblica. Che si è tenuta proprio a due passi dalla sede catanese dell’agenzia Frontex, operativa da circa due settimane.
La manifestazione euromediterranea fa parte dell’evento NoFrontex days promosso da molte associazioni e si è svolta per affermare che «nessun essere umano è illegale» e che «l’Europa non ha confini, siamo tutti clandestini».
«La risorsa aggiunta – spiega il referente di Rete antirazzista catanese Alfonso Di Stefano – è stata la presenza di Carovane Migranti, al quale appartengono i rappresentanti dei movimenti dei migranti del Messico e dell’Honduras. Si tratta del gruppo che cerca i desaparecidos delle frontiere e che offre cibo e bevande a chi passa dal Messico agli Stati Uniti e ha bisogno di aiuto». Come Maria Guadalupe Gonzalez Herrera che da anni, con le Patronas di Amatlàn, sfama quelli che attraversano le frontiere perché «siamo madri e comprendiamo cosa significhi perdere un figlio, e anche per questo siamo qui oggi».
«Protestiamo anche contro la scellerata decisione dell’amministrazione comunale di offrire l’ex ufficio anagrafe di via Transito a Frontex, l’agenzia che porta avanti azioni militari per contrastare l’immigrazione clandestina», aggiunge Di Stefano. Che spiega come ormai tutti i porti siciliani siano sempre più militarizzati e come l’inaugurazione degli hotspot fissi a Pozzallo, Lampedusa e Trapani porti a diminuire di tanto le comunicazioni fra le associazioni sanitarie e i migranti. «I migranti economici vengono subito espatriati. Abbiamo assistito anche a casi di donne incinte a cui è stato dato il foglio di respingimento entro sette giorni».
L’alternativa offerta da Di Stefano alla militarizzazione delle frontiere è una seria politica di accoglienza.
Ana Gricelides Enamorado ha perso il figlio durante la migrazione e rappresenta tutte le madri del centro America. «Faccio quello che dovrebbe fare il governo: cercare la verità e scoprire dove stanno i nostri figli», dice.
Imed Soltani, tunisino di 42 anni dell’associazione Terre pour tous ha perso due nipoti e partecipa alla carovana per rappresentare le 504 famiglie che hanno avuto parenti scomparsi. «Abbiamo fatto tante manifestazioni in Italia e in Tunisia e da cinque anni lottiamo per cercare la verità». Proprio come il ventisettenne Omar Garcia, che viene dal Messico ed è sopravvissuto alla sparizione di 43 studenti. «Ero presente la notte del massacro e sono qui perché sto partecipando a una carovana in tutta Italia contro le sparizioni che avvengono nel Mediterraneo così come in America», racconta.
Conclusa la manifestazione, i partecipanti si sono dati appuntamento per questa mattina davanti all’ingresso del Cara di Mineo per discutere di immigrazione, diritto d’asilo e corridoi umanitari. Un luogo che «non rappresenta più il respingimento dei migranti – sottolinea Matteo Iannitti di Catania Bene Comune – ma la loro segregazione». Per il leader del gruppo la manifestazione è un «un abbraccio tra i poveri di tutto il mondo che hanno bisogno di spostarsi per avere un futuro migliore e che non sono poi tanto diversi dai giovani siciliani che si trasferiscono in Francia, Inghilterra e Germania».
La battaglia, le associazioni non possono portarla avanti da sole, tant’è che chiedono il supporto dell’amministrazione comunale affinché il Mediterraneo torni a essere luogo di circolazione e incontro tra diverse culture, all’insegna di quella «libertà» urlata più volte durante la marcia.
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