Ancora Licata, capitale siciliana di chi non vuole più trivelle nel mare siciliano. È nella cittadina che guarda il Canale di Sicilia che oggi si riuniranno attivisti, pescatori, associazioni di stabilimenti balneari e cittadini per ribadire che U mari nun si spirtusa. Qui, nello specchio d’acqua che si estende fino alla vicina Gela, l’Eni metterà in atto il mega progetto da 1,8 miliardi per estrarre gas e portarlo attraverso condotte sottomarine fino a Gela, dove verrà lavorato nella Raffineria, che nel frattempo è stata ribattezzata Green ma che non è ancora ripartita.
Manca davvero poco per far partire l’Offshore ibleo (così si chiama il progetto Eni): dopo aver cambiato il piano iniziale – facendo a meno della realizzazione di una nuova piattaforma, la Prezioso K, dove si sarebbero dovuti lavorare gli idrocarburi che invece verranno portati a Gela – e aver ottenuto la Valutazione d’impatto ambientale, a Eni servono solo le cosiddette verifiche di ottemperanza da parte del ministero. Dettagli importanti, ma alla luce dell’iter svolto finora, è solo questione di tempo. Poi il progetto potrà davvero partire con tutto quello che comporta: l’estrazione del gas dai pozzi già attivi, Argo e Cassiopea; l’apertura di vecchi pozzi già trivellati ma finora mai entrati in azione; la trivellazione di quattro nuovi pozzi. E la posa del gasdotto che arriverà fin dentro la Raffineria.
«Torniamo in piazza – spiega a MeridioNews Marco Castrogiovanni, del comitato No Triv di Licata – dopo le grandi mobilitazioni degli anni scorsi che hanno anche impedito la realizzazione della piattaforma Prezioso K a fianco di quella già esistente. Vogliamo ribadire la valorizzazione del nostro territorio e il diritto all’autodeterminazione da parte delle comunità locali che rifiutano la posa del gasdotto».
Sul progetto di Offshore ibleo non avrà alcun impatto l’emendamento che due giorni fa è stato annunciato dal sottosegretario allo Sviluppo economico, il pentastellato Davide Crippa, e che è stato accolto con entusiasmo dal movimento No Triv. Ma la proposta (che deve comunque ancora passare il vaglio delle Camere e superare l’ostilità dell’alleato di governo della Lega) riguarda i permessi di prospezione (cioè le indagini geologiche) e di ricerca, da rilasciare e già rilasciati. A Licata e Gela questa fase è superata. Eni ha già ottenuto un permesso di coltivazione.
L’Offshore ibleo fa parte del protocollo d’intesa siglato nel novembre 2014 – e poi sottoposto ad alcune modifiche – al tavolo del Ministero dello sviluppo economico tra governo nazionale, l’Eni, la Regione siciliana e i sindacati. Un accordo passato alla storia e continuamente richiamato per l’impegno della multinazionale a riconvertire la Raffineria di Gela in Green Refinery (tempi inizialmente previsti entro l’estate del 2017, ma disattesi. Oggi si parla di un avvio a febbraio 2019), ma che in realtà dei 2,2 miliardi complessivi, ne destina 1,8 alle attività upstream, cioè esplorazione ed estrazione di idrocarburi. Le due cose sono quindi strettamente correlate: senza le trivelle, Eni non farà nessuna riconversione.
Lo sanno bene a Gela dove l’opposizione all’Offshore è ben più timida che nelle vicine Licata e Sciacca. Il consiglio comunale di Licata, lo scorso ottobre, ha approvato una mozione di indirizzo «tesa a impegnare l’amministrazione comunale a porre in essere tutti gli strumenti giuridici, amministrativi e politici per porre un freno, per quanto è possibile, alla trivellazione del nostro mare ad opera delle grandi compagnie petrolifere». Alla manifestazione di oggi da Gela ci sarà solo la federazione dei Verdi e qualche adesione individuale di ambientalisti ed ecologisti. Assente il Movimento cinque stelle gelese, mentre è prevista la presenza di altri meet up. «Per il momento restiamo spettatori. Non siamo stati coinvolti e non abbiamo fatto passi avanti perché è una situazione in fieri – precisa la consigliera comunale pentastellata Virginia Farruggia – Siamo e restiamo No Triv, ma prima di fare una manifestazione aspettiamo di capire come andranno le cose, visto che a livello nazionale è in corso proprio in questi giorni un braccio di ferro sulla questione delle trivelle».
Ma quali sono le possibilità che restano ai No Triv per bloccare l’estrazione di gas nel Canale di Sicilia? Circa un mese fa, il comitato Stop alla piattaforma di Sciacca ha denunciato lo Stato italiano alla Commissione europea. «La nostra istanza – spiega l’ingegnere Mario Di Giovanna, portavoce del comitato nato nel 2010 – è stata accettata e adesso stiamo aspettando una risposta sulla valutazione per l’apertura della procedura di infrazione, perché nello studio di impatto ambientale presentato dall’Eni nel 2014 ci siamo accorti che mancavano delle cose fondamentali, come gli impatti su pesca, turismo e geologia del fondo marino, oltre al fatto che la popolazione non è mai stata coinvolta. Ma soprattutto manca lo scenario di incidente rilevante».
Quali sarebbero, cioè, le conseguenze in caso di incidente, ad esempio, al gasdotto? Eni non lo ha spiegato, nonostante questi studi dovrebbero essere compiuti in fase preliminare. Gli attivisti hanno già presentato ricorso al Tar e al Cga, perdendoli. Ma adesso sperano nella Commissione europea. «Nonostante queste mancanze – spiega Di Giovanna – il governo italiano ha dato la compatibilità ambientale e la concessione, affermando che le aggiunte potevano essere fatte anche nella fase successiva con le verifiche di ottemperanza». Nell’attesa delle decisioni europee, gli attivisti, però, chiedono «che il governo gialloverde proceda in autotutela revocando le concessioni».
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