No Muos, la notifica della denuncia a un 16enne etneo «La polizia mi cerca a casa perché non voglio la guerra»

Una chiamata persa. E poi la polizia a casa e la madre in ospedale per lo spavento. «Avrò rubato? Avrò ucciso qualcuno? Faccio parte di un’associazione a delinquere? Niente di tutto questo». Così S., 16enne di Catania, racconta la notifica della denuncia ricevuta per aver partecipato, il 9 agosto 2014, alla manifestazione contro il Muos, l’impianto di antenne satellitari militari Usa a Niscemi. E, nello specifico, per essere entrato all’interno della base statunitense. «Il classico esempio della differenza tra percezione e realtà. Tra il farci apparire come dei terroristi e la nostra vera essenza», continua il giovane, che fa parte del gruppo etneo Liberi Pensieri Studenteschi.

La storia inizia un paio di giorni prima, quando in Questura viene chiamato un altro ragazzo, A., 15 anni. Compagno di scuola di S., entrambi studenti dell’istituto tecnico Archimede di Catania. Ad A. i poliziotti chiedono il numero di telefono del compagno, per notificare anche a lui la stessa denuncia. «Il giorno seguente, dopo aver caricato il mio telefono, ho trovato una chiamata proveniente da un numero fisso – racconta S. – Io ho richiamato: era la questura di Catania. La persona con la quale ho comunicato non mi ha saputo dire il motivo della loro chiamata. Mi ha detto che mi avrebbero richiamato. È questa la procedura che avviene solitamente. Ma questo non è mai successo». 

Dopo qualche giorno, S. è di ritorno da scuola. Quando riceve un’altra telefonata, questa volta dalla sorella, 9 anni. «Mi chiama impaurita per dirmi che due poliziotti, giunti a bordo di una volante, hanno citofonato a casa mia – continua il 16enne – Le hanno lasciato una carta. Poco dopo chiama mio padre dicendo di essere stato contattato dalla questura. Lunedì dovrò andare insieme a lui per notificare questa denuncia». Intanto la notizia arriva anche alla madre del ragazzo che, mentre si trova in ufficio, viene colta da un attacco di panico e portata in ospedale

S. continua a raccontare del contesto in cui è maturata la sua scelta di andare a Niscemi, ad agosto, a manifestare contro il Muos insieme a migliaia di siciliani. Una decisione che nasce all’interno del gruppo studentesco Lps, di cui fa parte insieme ai compagni di scuola. «Siamo legati da un’amicizia vera e dal sogno di poter cambiare il mondo. Lo immaginiamo diverso: senza soprusi, senza guerre, senza oppressioni, senza ingiustizie. Condividiamo i valori dell’uguaglianza, dell’educazione, del rispetto, della solidarietà e della lealtà». Oltre all’antimilitarismo. «Sono dei valori che cerchiamo di difendere e di diffondere tra i nostri coetanei e non solo – continua il 16enne – Ho sempre sedici anni e il reato di cui sono accusato è quello di non volere la guerra nel mondo».

Sulla carta, al ragazzo viene contestato di aver fatto irruzione nella base militare Usa di Niscemi. «Per entrare sono venuto meno al rispetto delle regole, assieme ad altre migliaia di persone – ammette il giovane – Ma non c’era alcun motivo di irrompere a casa mia senza seguire la solita procedura telefonica. E senza conoscere le situazioni personali e familiari che avrebbero potuto incontrare. Il loro obiettivo è chiaro: intimorirci». Nonostante anche i giudici del Tar di Palermo si siano recentemente espressi contro la costruzione dell’impianto militare sull’isola. «Siamo noi a rappresentare un pericolo da reprimere, in questa società?», conclude S.

Claudia Campese

Giornalista Professionista dal 2011.

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