30 aprile, “in piazza per dire No alla mafia”: questo lo slogan del “No Mafia day”. Siamo a Catania, davanti alla Villa Bellini, tra duecento e più studenti, armati di bandiere e cappellino, con sopra impresso il bel logo dell’iniziativa.
“Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Rocco Chinnici, Libero Grassi, Peppino Impastato, l’onorevole la Torre, erano siciliani, anzi sono siciliani, perché le loro idee continuano a vivere scolpite nella mente di ogni siciliano degno di definirsi tale!”, dicono i giovani in un video promozionale dell’iniziativa, organizzata dalla consulta provinciale degli studenti di Catania. Ma quanto conoscono la storia della mafia e dell’antimafia, nella realtà, gli studenti catanesi?
Armati di pazienza e taccuino siamo andati in giro a chiedere agli studenti cosa ne sanno. Sono le 16, e nella lunga attesa dell’assembramento davanti alla Villa parliamo con Leonardo, Luca, Salvatore, Mirko, Marianna, Laura e Margherita. Cinque liceali, due sono universitari. Lungi dall’essere un campione rappresentativo, tuttavia le loro risposte sono una miniera di sorprese.
La prima domanda che faccio agli studenti è “Chi è Pio La Torre?”. Facile, penso, proprio nel giorno del 29° anniversario della sua morte…
Laura, Marianna e Leonardo, 15 anni, mi guardano stupiti, non avendo mai sentito il nome. Luca e Mirko, 18 e 16 anni, hanno qualche “rimembranza”, ma ammettono di non conoscerlo. Va un po’ meglio con gli universitari: il ventenne Salvatore me lo presenta come un “esponente del partito comunista, attivo nella lotta contro la base missilistica in Sicilia”. Peccato che per lui la base si trovi a Gela, non a Comiso, ma siamo nel raggio dei cento chilometri. Della legge Rognoni-La Torre non sa nulla, mentre preparatissima è Margherita, 24 anni, studentessa a Milano, che della Rognoni-La Torre conosce anche l’aneddoto, assai amaro, della sua applicazione nel processo Fava. “Eh, ma tra i miei docenti alla Statale di Milano c’è Nando Dalla Chiesa“, ci confessa sorridendo.
Margherita è purtroppo anche l’unica ad aver sentito parlare di Libero Grassi (che per Leonardo era un “giornalista dell’Ora di Palermo“) e cita in un fiume di parole il suo impegno di imprenditore, il valore del coraggio, del non piegarsi, della “denuncia”. La discussione si allarga al fenomeno dei pentiti, e le chiedo “ma sai la differenza tra pentito e testimone di giustizia”? Qui Margherita prende uno scivolone, piuttosto comune a dire il vero: “be’ un pentito è un uomo che collabora, mentre il testimone è il termine giuridico per indicare una persona che collabora pure… Ma non è detto che si sia pentito, nel senso che non ha dei rimorsi”. Un esempio di testimone di giustizia? Margherita risponde sicura “A Catania certamente Antonino Calderone“.
La piccola Marianna, 15 anni, è l’unica che c’azzecca al primo colpo “la differenza è che i primi erano criminali, i secondi persone qualunque che decidono di collaborare perché hanno assistito a un delitto”. Non ricorda le date delle stragi di Capaci e Via D’Amelio (allora non era neanche nata) e nemmeno il ruolo preciso di Falcone e Borsellino “sono stati uccisi perché hanno detto qualcosa di scomodo”, dice. Ma quando le parlo di “pizzo”, lei è subito pronta a rispondere “non lo pagherei mai, perché è la paura di essere soli quella che ci spinge a pagare, e oggi è la dimostrazione che non siamo disposti a farlo”.
Leonardo, Luca, Mirko e Laura sono anche loro per il “no”, secco. “Se fossi imprenditore non pagherei mai”, dicono sicuri, mentre il ventenne Salvatore mi dice qualcosa di sconcertante, anche se realistico: “Ci penserei molto, perché magari mi darebbe fastidio, però in fin dei conti con una famiglia, se sto bene economicamente, per stare tranquillo forse pagherei. Dipende dalle situazioni”. Salvatore ha il tipico linguaggio del “giovane politico”, pieno di “viatici” “ferme condanne” e “ruoli ampi”. “Ampio” come quello di Totò Riina all’interno della mafia, giovane corleonese che ebbe la sfortuna di veder morire il padre da giovane, e visse in estrema povertà “sfruttando grandi capacità, grande carisma e grande potere. Credo che tutto quello che ha fatto gli è stato permesso da altri. Non è stato soltanto lui, ma tutta la Cupola, la cosiddetta piovra”. Luca non cerca giustificazioni sociologiche all’ascesa di Riina, ma sbaglia clamorosamente le date “è stato arrestato tre anni fa”, mentre Mirko, 16 anni, è fortunatamente molto più consapevole “Riina è una delle figura più tristi nella storia d’Italia, l’artefice dell’ascesa dei corleonesi e della mafia delle stragi”. Mirko, a parte qualche defaillance su Pio La Torre, mi parla ache del regime 41 bis, con proprietà di linguaggio e affermando che “è il più grande deterrente al proseguimento dell’attività criminale, tanto che nei pizzini si chiedeva l’intermediazione in parlamento per farlo eliminare”.
Sul 41 bis finisce il mio giro di domande: quando rivolgo la domanda a Laura, un suo amico mi interrompe e dice “ahu, ma ti sembrano cose da chiedere alla femmine?”. Il corteo è pronto per partire.
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