Ho pena per i funzionari del Senato che, per ragioni di ufficio, stanno seguendo l’iter del disegno di legge di modifica della legge elettorale. Nel testo base, a firma del relatore Malan, si legge che ogni lista che si presenta in una circoscrizione elettorale (in ipotesi, Lombardia-1) è tenuta a presentare un doppio elenco di candidati. Nel primo elenco sono inseriti i candidati che saranno eletti in base alle preferenze individuali. Nel secondo elenco sono inseriti i candidati che saranno eletti secondo l’ordine di presentazione nella lista. Per la serie: ufficio complicazione affari semplici.
In queste ore, la notizia è quella del “lodo Calderoli”: riguarda i seggi da attribuire con sistema maggioritario, per garantire la formazione di una maggioranza numerica in seno alla Camera dei deputati. Il senatore Roberto Calderoli, prima di darsi alla politica attiva, era medico chirurgo. Oggi passa per grande esperto di leggi elettorali. Tanto da avere attribuita la paternità della legge vigente (legge 21 dicembre 2005, n. 270). Tanto da essere considerato l’unico mediatore fra i partiti, nelle difficili circostanze attuali.
In questo caso il mediatore avrebbe partorito questa geniale soluzione: attribuiamo un premio in seggi, non in quantità fissa, ma in percentuale ai seggi che la lista più votata ha già conseguito, in base ai voti degli elettori. Così chi ha preso più voti, ottiene anche più seggi in premio. In realtà, anche quando il numero dei seggi del premio è predeterminato, si determina il medesimo effetto.
Ad esempio, nel testo Malan, il premio è fisso: 76 seggi. Ma se la coalizione più votata ottenesse, per il consenso espresso dagli elettori, il 42,5 per cento del totale dei voti validi espressi, conseguirebbe complessivamente meno seggi di quanti ne avrebbe avuti qualora la sua percentuale fosse stata del 44 per cento dei voti validi.
Allora il lodo Calderoli si risolve in un espediente per attribuire con sistema maggioritario seggi alla lista più votata anche quando la coalizione di cui fa parte la lista medesima abbia ottenuto una percentuale di consenso compresa fra il 30 ed il 35 per cento dei voti validi. In questo caso, propone Calderoli, la lista beneficiata otterrebbe ulteriori seggi in misura corrispondente al 22,5 per cento dei seggi già conquistati in base al voto degli elettori. Un cosiddetto “premietto”, che fa tanto comodo al partito di riferimento della lista più votata, ma che non serve a garantire una maggioranza numerica in Parlamento.
Se l’opinione pubblica fosse appena appena più attenta e consapevole, ci sarebbe da vergognarsi a scrivere disposizioni di legge elettorale così formulate.
La legge elettorale delinea le regole del gioco democratico. Non è importante. E’ importantissima. In un mondo ideale, le disposizioni della legge elettorale dovrebbero essere scritte in modo tale da poter essere immediatamente comprese da qualunque cittadino mediamente istruito.
La cosa non è impossibile. Il testo unico per le elezioni della Camera (emanato con DPR 30 marzo 1957, n. 361) per tanto tempo è stato un modello di chiarezza. La normativa si è molto appesantita e complicata con la legge Mattarella (legge 4 agosto 1993, n. 277). Ricordate il criterio dello scorporo? La legge vigente, la legge n. 270/2005, è indecente proprio a partire dal modo in cui è stata scritta. Non è immediatamente comprensibile, non soltanto da cittadini mediamente istruiti, ma nemmeno da laureati in giurisprudenza con laurea magistrale. Per essere più precisi, nemmeno i magistrati che compongono gli uffici elettorali possono orientarsi da soli; ma hanno bisogno del necessario supporto di esperti.
La legge vigente garantisce 340 seggi alla coalizione più votata, a prescindere dai voti che questa abbia ottenuto. Bisogna prima verificare quali liste abbiano ottenuto rappresentanza e le soglie di sbarramento (fissate a livello nazionale) variano a seconda che si tratti di liste aderenti ad una coalizione, o che concorrono autonomamente. Poi bisogna considerare quanti seggi abbia ottenuto la coalizione più votata. Si deve, quindi, elevare il numero di questi seggi a 340, individuando come l’aumento di seggi assegnati con sistema maggioritario si distribuisca tra le liste coalizzate che hanno superato la soglia di sbarramento minima.
A fronte di quest’operazione, bisogna ridurre in modo corrispondente i seggi delle liste appartenenti alle coalizioni risultate minoritarie. In questo quadro, di estrema complessità, va pure considerato che la legge vigente consente ad uno stesso candidato di candidarsi in un numero illimitato di circoscrizioni elettorali. Con il conseguente gioco delle opzioni. Il risultato ultimo è la mancanza di trasparenza. Si ha un esito elettorale che soltanto in minima parte è riconducibile alla volontà manifestata dagli elettori.
Il modo per ricondurre la legge elettorale ad un minimo di chiarezza c’è e mi sono permesso di indicarlo in un mio precedente articolo. I seggi da assegnare con sistema maggioritario siano attribuiti non alle stesse liste circoscrizionali, ma in sede di Collegio unico nazionale. Il Collegio unico nazionale fu utilizzato nelle elezioni dell’Assemblea Costituente nel 1946.
In questa sede varrebbe il criterio dell’elezione secondo l’ordine di inserimento nella lista. Viceversa, per tutti i seggi da assegnare nelle circoscrizioni elettorali (la stragrande maggioranza) varrebbe il criterio della scelta degli elettori, attraverso l’espressione del voto di preferenza per candidati compresi nella lista prescelta (propongo, fino ad un massimo di due candidati).
Con tale soluzione, i partiti verrebbero molto responsabilizzati, perché le liste presentate nel Collegio unico nazionale sarebbero una “vetrina”, al cospetto dell’intera opinione pubblica nazionale. Finirebbe il mercato delle opzioni. In caso di elezione contestuale nel Collegio unico nazionale ed in una o più Circoscrizioni, una disposizione di legge imporrebbe la prevalenza dell’elezione nel Collegio unico; conseguentemente, nelle circoscrizioni subentrerebbero i primi dei non eletti, sempre secondo l’ordine delle preferenze individuali.
Quando il premio in seggi fosse predeterminato, sarebbe facile stabilire quanti seggi debbano essere attribuiti nelle Circoscrizioni elettorali, in proporzione alla popolazione residente. Se ad esempio, il premio fosse quantificato in ottantadue seggi, equivalenti al 13,01 per cento del totale della composizione della Camera dei Deputati, resterebbero da eleggere 535 deputati. Cifra ottenuta sottraendo dal totale di 630, i dodici seggi da eleggere nella Circoscrizione estero, il seggio per la Valle d’Aosta, e appunto i seggi destinati al Collegio unico nazionale. 12 + 1 + 82 + 535 = 630.
Il problema è che non è giusto attribuire comunque il premio di maggioranza, qualunque sia l’esito del voto degli elettori. Una cifra minima di consenso va stabilita. Ho proposto il 39 per cento del totale dei voti validi espressi, che mi pare una misura equilibrata. Al di sotto di questa percentuale di consenso, in uno sforzo di compromesso potrebbe pure essere ammesso un premio in seggi alla lista più votata, ma in una quantità non superiore alla metà dei seggi complessivamente disponibili per il premio di maggioranza. Perché in questo caso lo scopo sarebbe diverso: accrescere il peso parlamentare della lista di maggioranza relativa affinché più facilmente possa diventare fattore di aggregazione di una maggioranza parlamentare. Ognuno comprende che il peso parlamentare di una lista non possa essere aumentato illimitatamente, finché si resta in una genuina logica democratica.
Penso di avere dimostrato che sia possibile migliorare sostanzialmente la normativa vigente. Indipendentemente dalla sua validità, una proposta non può avere ingresso nell’attività parlamentare finché un senatore (o un deputato nell’altro Ramo) non la faccia propria trasformandola in emendamenti.
Si sa che i parlamentari sono gelosissimi del loro potere e mal sopportano interferenze. Ma, se partoriranno un mostriciattolo, sappiano che potranno essere giudicati anche per il merito delle scelte che hanno compiuto.
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