Femminicidio, una petizione per fermarlo Riccardo Iacona: «Una tragedia nazionale»

«La violenza sulle donne non è una emergenza ma è un fenomeno strutturale di una società che pone uomini e donne in una relazione di disparità». Così l’associazione nazionale dei centri antiviolenza D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza parla del femminicidio, la prima causa di morte nel mondo delle donne tra i 16 e i 44 anni, che dall’inizio del 2012 in Italia ha fatto 105 vittime. Donne uccise da uomini che le conoscevano: amanti, mariti, fidanzati, ex. L’ultima è stata Carmela Petrucci, la diciassettenne morta a Palermo per difendere la sorella dalla violenza dell’ex fidanzato. Per fermare questo fenomeno l’associazione ha lanciato la petizione Mai più violenza sulle donne, con cui chiede al governo italiano, al Parlamento e alla società che in tempi brevissimi sia ratificata nel nostro ordinamento la Convenzione del Consiglio d’Europa firmata ad Istanbul, che vincola i Paesi aderenti ad azioni ed iniziative importanti di contrasto alla violenza sulle donne, che sia attuato il Piano nazionale antiviolenza e che si sostengano con finanziamenti adeguati tutti i centri antiviolenza aderenti alla Rete nazionale.

Fino ad oggi hanno firmato l’appello più di 20mila e 500 persone.  Tra i primi firmatari c’è anche il giornalista Rai Riccardo Iacona, ideatore e conduttore del programma di videoinchieste Presadiretta su Rai3, ed autore del libro Se questi sono gli uomini. Italia 2012. La strage delle donne, in libreria da qualche settimana. La cronaca di un viaggio attraverso il nostro Paese che racconta «una guerra che prima di finire sui giornali nasce nelle case, all’interno delle famiglie, nel luogo che dovrebbe essere il più sicuro e protetto», scrive Iacona nel prologo. CTzen lo ha intervistato.

Lei ha definito la violenza sulle donne una «tragedia nazionale». Come dovrebbe intervenire la politica, il governo, per combattere questo problema?

«Dovrebbe implementare  tutte quelle buone pratiche politiche che già ci sono ma che sono scarsamente finanziate e largamente insufficienti: aumentare il numero dei centri antiviolenza e degli sportelli, fino ad averen uno in ogni Comune di Italia, finanziare adeguatamente il Piano antiviolenza, costruire quella rete prevista dalla legge sullo stalking, che coinvolga pronti soccorso, servizi sociali, forze dell’ordine e infine velocizzare la risposta dei tribunali. Per fare questo però ci vuole una assunzione di responsabilità politica, una presa di coscienza dell’esistenza della violenza di genere, in modo che entri a far parte dell’agenda della politica».

Molti pensano che se un marito, ex o fidanzato uccide una donna sia per ignoranza e che succeda maggiormente nelle regioni del Sud e in ambienti poveri. Invece non è così, succede in tutti gli ambienti sociali da Nord a Sud. È un problema di educazione? L’Italia è un Paese troppo maschilista?

 «L’Italia è un Paese ostile alle donne e terribilmente arretrato sul tema dei diritti delle donne e delle Pari opportunità, in questo senso sì è drammaticamente maschilista».

Che idea si è fatto sulle cause di questa violenza? 

«Tutte le donne uccise nel 2012 sono state punite perché avevano avuto un atto di indipendenza, di autonomia, perché hanno detto no al loro uomo o ex. O perché lo volevano lasciare o perché l’hanno denunciato. Ecco perché le donne italiane vengono punite».

Nel suo libro ha raccolto tante testimonianze, intervistando anche i carnefici. C’è qualche dichiarazione che l’ha colpita particolarmente?

«Sono tutte di enorme interesse, anche perché è difficile sentire parlare gli uomini violenti. Quello che mi colpisce di più è quanto quelle storie siano così vicine alle nostre e ci raccontano di un conflitto in cui l’uomo non riesce ad accettare l’indipendenza e l’autonomia della propria compagna, anche e soprattutto sul terreno delicato dei sentimenti».

È evidente che la violenza sulle donne è un problema di genere. Lei, da uomo, cosa direbbe agli altri uomini?

«Che hanno/abbiamo ancora tanta strada da percorrere e che un rapporto “alla pari”, dove c’è il rispetto assoluto della indipendenza e della libertà del proprio partner sarà forse più difficile, ma molto più ricco. Infine, che un Paese che non sa amare non va da nessuna parte».

[Foto di chepetite]

Agata Pasqualino

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