«Ci sono villaggi dell’interno dove il rifornimento idrico avvieni ogni quindici, venti giorni, ci sono grandi città dove arriva un giorno sì e uno no per poche ore, non si vede una via d’uscita ma tutti progettano, propongono». Era il 1992 e a scrivere di Sicilia era il grande giornalista Giorgio Bocca, in un libro dal titolo emblematico: L’inferno, profondo Sud male oscuro. Era 23 anni fa, ma sarebbe potuto essere tranquillamente il 2015. Di quei «villaggi dell’interno», fa sicuramente parte Niscemi: 28mila abitanti e un problema atavico con la carenza d’acqua.
Basta una foto dall’alto per individuare una massiccia presenza di cisterne, quasi sempre del colore del mare che da qui non si vede. Uno dei rimedi che la popolazione ha trovato per sopperire alla croniche mancanze dell’oro blu, formula a volte retorica che in quest’angolo di Sicilia invece è pragmatica. Sulla scia di quel che è avvenuto a Gela, anche a Niscemi è partita una campagna di sensibilizzazione sui social attraverso l’hasthtag #niscemisenzacqua. Ma quali sono le cause del disagio? Prova ad individuarle il sindaco Francesco, detto Ciccio, La Rosa. «Noi riceviamo l’acqua dalla diga Blufi, da Palermo, a distanza di 140 chilometri – spiega il primo cittadino -. Il problema principale è nella conduttura: la rete va cambiata, in passato è stata gestita dalla mafia, lo puoi scrivere tranquillamente. Non c’è manutenzione, così una volta c’è uno smottamento, un’altra volta una tromba d’aria, un’altra ancora un’alluvione e il risultato è che basta un guasto da qualche parte e l’acqua manca per 10-15 giorni. Bisogna intervenire alla fonte». Il sindaco attribuisce precise responsabilità. «Caltaqua è il gestore e non il fornitore – spiega -. Se l’acqua manca anche a loro che quel liquido lo vendono, ci perdono. Ci vuole perciò uno scatto d’orgoglio dei Comuni nei confronti di Siciliacque che è colei che dovrebbe fornire l’acqua e non lo fa». Siciliacque è la società che gestisce l’acqua nell’Isola, partecipata per il 25 per cento dalla Regione e per il 75 dalla privata Idrosicilia i cui soci sono la francese Veolia e l’Enel.
C’è poi il mercato nero dell’acqua, come conferma l’attivista No Muos Fabio D’Alessandro. «Attorno alla crisi idrica si è sviluppato un indotto ben organizzato e tollerato benché abusivo – spiega l’esponente del comitato di Niscemi -. Diversi privati hanno caricato i contenitori dell’acqua sui loro mezzi e la rivendono. Ovviamente non hanno licenza per farlo, né è possibile ottenere dati sulla qualità di quell’acqua. Negli ultimi anni in alcune campagne niscemesi dotate di pozzi, alcuni hanno addirittura messo in piedi una sorta di casa dell’acqua per la distribuzione tramite moto api e camion». Nel recente passato il movimento No Muos ha legato la mancanza del prezioso liquido anche alla presenza della base militare statunitense. Al punto da «liberare», con un’occupazione simbolica, uno dei pozzi all’interno dell’impianto di contrada Ulmo. «Mentre i niscemesi sono costretti a turni di erogazioni di 15-20 giorni – denunciavano in quell’occasione gli attivisti – la marina statunitense riceve l’acqua tutti i giorni, per di più dalla stessa società che gestisce il servizio idrico della città».
Il tutto mentre il mercato nero continua a proliferare. Approfittando del silenzio delle autorità preposte. «I proprietari degli impianti nelle campagne – racconta D’Alessandro – hanno collocato questi grandi serbatoi in posizione sopraelevata. Così alle moto api e agli altri mezzi basta posizionarsi sotto una delle vasche e rifornirsi in pochi minuti. Poi portano l’acqua ai locali e alla famiglie, che in questo caso la pagheranno due volte. Ovviamente tutti sanno della non potabilità dell’acqua ma i nostri caffè, il nostro pane, i nostri dolci spesso sono fatti in questo modo».
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