Niscemi, dietro il Muos una città che muore Rifiuti, acqua e agricoltura i nodi principali

Negli ultimi due anni Niscemi per il resto d’Italia è stata il Muos e il movimento che vi si oppone. Ma quello che in passato era il primo produttore di carciofi in Italia, vive una crisi profonda, sociale ed economica. In un territorio sempre più militarizzato. «Ogni settimana da Niscemi partono due pullman per la Germania e sono sempre pieni», spiega Enrico Militello, rappresentante dell’Unione coltivatore italiani. Chi resta sembra rassegnato, ma non tutti. Una rete di associazioni ha convocato un’assemblea pubblica per domenica pomeriggio. Contro «una serie di scelte politiche, locali, regionali e nazionali che ha portato la città sull’orlo del baratro», scrivono i promotori. Da qui l’invito rivolto a tutti: categorie sociali, commercianti, sindacati, associazioni e semplici cittadini. «Per costruire una giornata di protesta che riesca ad unire le specificità e le vertenze in un’azione di massa, unitaria e determinata». A promuovere l’iniziativa è il Coordinamento spontaneo per lo sciopero sociale, composto da No Muos, associazione culturale Eco della Libertà, Centro ascolto problemi per l’acqua, associazione Ap Parte.

La rivoluzione dei rifiuti
In estate l’amministrazione ha adottato il porta a porta su tutto il territorio comunale, campagne comprese, portando le percentuali di differenziata ad agosto al 50 per cento, per un risparmio stimato dal sindaco Francesco La Rosa in 300mila euro. Molti, però, non si sono abituati al cambiamento. «Non c’è stata nessuna campagna d’informazione e dall’oggi al domani sono spariti tutti i cassonetti – denuncia Giuseppe Cannia, portavoce dell’associazione Eco della libertà – La gente continua a buttare la spazzatura dove prima c’erano i cassonetti. Il risultato è il moltiplicarsi di microdiscariche in molte strade, nel bosco o nelle villette private». L’unica isola ecologica, inoltre, si trova fuori dal paese. «A questo si aggiunga che il servizio di raccolta non passa dove le persone non pagano le tasse – precisa Cannia – Il cambiamento è giusto, è sbagliata la tempistica, serve l’educazione ambientale». Con l’associazione di cui fa parte «abbiamo pulito due parchi cittadini: piazza dei martiri delle foibe e parco Chiara Luce Badano – continua – Ma le adesioni dei volontari sono state poche e dopo un paio di giorni era tutto come prima. C’è un problema di mentalità, di coscienza sopita».

La rassegnazione degli agricoltori
Dello stesso avviso è Enrico Militello, dell’Unione coltivatori italiani. «Mio cugino – racconta – ha affittato le sue serre perché non riusciva a sostenere più i costi di produzione ed è partito per la Germania». A Niscemi le produzioni agricole sono soprattutto due: il carciofo nei campi e il pomodoro nelle serre. Ma per recuperare i costi, il prodotto si dovrebbe vendere a prezzi fuori mercato. «Da quattro anni – continua – viviamo una depressione dovuta innanzitutto all’abbattimento dei dazi doganali sui prodotti agricoli provenienti dal Nord Africa che vengono venduti sui nostri mercati a metà prezzo rispetto alle produzioni locali». Secondo Militello le vie d’uscita sono due: la concentrazione in due o tre player di vendita – capaci di stoccare i prodotti raccolti da tanti piccoli coltivatori – e la capacità di offrire un prodotto finito. «Il carciofo va venduto surgelato o in vasetti – spiega – ma qui non ci sono strategie commerciali di ampio respiro, la politica è incapace di incidere sull’economia, non dico con investimenti ma nemmeno con idee e Niscemi è 20 anni indietro rispetto al mercato olandese e spagnolo. Il coltivatore – conclude – serve solo come mezzo di pagamento per le multinazionali della plastica o dei concimi».

I problemi di approvvigionamento idrico
«L’acqua corrente non arriva proprio – spiega Cannia – la portano da Gela e viene accumulata in contrada Pilacane. Tutti a Niscemi hanno una vasca che deve essere centellinata. Quest’estate siamo rimasti anche 20 giorni senza, non esiste un calendario, non ne viene annunciato l’arrivo». La situazione va avanti così da circa 50 anni e c’è chi prova a sostituirsi agli enti competenti, approfittando della situazione. «Chi ha un camion lo ha dotato di cisterna e vende l’acqua a dieci euro ogni mille litri. Ma non sappiamo da dove venga e nessuno la controlla». C’è chi, addirittura, paga l’acqua due volte, come una trentina di famiglie nelle case popolari vicino alla stazione. «Quando acquistano dai privati, l’acqua viene riversata in un impianto che è collegato ai contatori. Così queste persone pagano sia i privati sia la società Caltaqua», racconta un attivista del Centro ascolto problemi per l’acqua che ha lanciato una raccolta firme per sensibilizzare la popolazione. La società per azioni che dal 2006 gestisce il servizio idrico integrato in tutta la provincia di Caltanissetta, nel frattempo, ha siglato un accordo con la base militare Usa dove il prezioso liquido arriva tutti i giorni, a differenza del paese. Anche se, come racconta in un’inchiesta Antonio Mazzeo, i militari non bevono l’acqua che arriva dai rubinetti perché le falde acquifere sono state inquinate.

La paura di rimanere senza ospedale
O meglio con il Vittorio Emanuele di Gela come riferimento più vicino. Il suor Cecilia Basarocco di Niscemi, infatti, è stato già fortemente ridimensionato dal piano regionale che lascia nella cittadina 30 posti letto tra pronto soccorso e medicina generale, ma elimina reparti come maternità, radiologia e chirurgia. Adesso però le linee della nuova spending review del governo nazionale imporrebbero la chiusura dei centri ospedalieri con meno di 50 posti letto. Nei mesi scorsi si sono registrate diverse proteste, con sindaco e consiglio comunale che hanno anche occupato l’ospedale. «Tutto però si è sopito dopo la visita e le rassicurazioni dell’assessore regionale Lucia Borsellino insieme al presidente della commissione Sanità Pippo Di Giacomo», spiegano i promotori.

Un quadro a tinte fosche che le associazioni e i movimenti promotori dell’assemblea di domani vorrebbero contribuire a cambiare. «È necessario uno sforzo comune, di tutta la cittadinanza, per porre un freno alla devastazione del territorio e della dignità», scrivono. L’appuntamento è in piazza Vittorio Emanuele alle 19.

Salvo Catalano

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